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La campagna di epurazioni del presidente Trump per eliminare il deep State a lui avverso nelle scelte soprattutto di politica estera non si ferma: proprio pochi giorni fa John Bolton è stato silurato dalla Casa Bianca diventando così il terzo consigliere per la sicurezza nazionale ad essere sostituito in poco meno di tre anni dopo Micheal Flynn ed Herbert McMaster.

Al momento non si conosce ancora il nominativo del successore di Bolton, però esiste una lista di persone che potrebbe occupare una delle “poltrone” più importanti dell’amministrazione americana.

L’uomo giusto per il momento giusto

Risulta chiaro che a Trump serva un uomo che possa avallare le sue scelte in politica estera che, come abbiamo avuto modo di dire precedentemente, sono in contrasto con la linea dura espressa da alcuni esponenti dell’establishment, tra cui anche l’ex segretario alla Difesa James “Mad Dog” Mattis.

Il presidente Usa, proprio per il suo passato imprenditoriale, è un uomo deciso ma che lascia sempre le porte aperte al dialogo, e questo suo atteggiamento si è più volte scontrato coi falchi presenti a Washington trovando resistenze nella “burocrazia” dei dipartimenti di Stato e Difesa e soprattutto nelle agenzie di intelligence, che negli ultimi mesi hanno aperto una vera a propria guerra mediatica contro Trump accusandolo di utilizzare le informazioni riservata con troppa leggerezza.

Chi dovrà ricoprire la carica di consigliere per la sicurezza nazionale dovrà pertanto essere “l’uomo giusto per il momento giusto” intendendo cioè la volontà non solo di adattarsi alla linea politica presidenziale, ma di avere chiari quali sono i fronti caldi da gestire per l’amministrazione americana: Iran, Cina, Corea del Nord, e marginalmente anche la Russia.

Inoltre dovrà essere capace di gestire la personalità “istrionica” di Trump, che ha dimostrato essere poco avvezzo al protocollo preferendo i contatti diretti sia col pubblico, a colpi di tweet, sia con le alte cariche della diplomazia: in almeno un caso il presidente Usa ha incontrato il suo omologo russo praticamente a porte chiuse e “sequestrando” le trascrizioni degli interpreti.

I possibili candidati a consigliere per la sicurezza nazionale

Nonostante la Casa Bianca non si sia sbilanciata limitandosi a riferire, con le parole dello stesso presidente che “abbiamo cinque persone che lo vorrebbero molto. Annunceremo il nominativo la prossima settimana”, ci sentiamo di escludere la possibilità che Mike Pompeo, già segretario di Stato, possa assumere la carica vacante in quanto sarebbe un precedente inusuale, sebbene potrebbe assumere la carica ad interim.

La lista dei “papabili” si compone di nove nominativi che, per un motivo o per un altro, potrebbero assurgere alla carica emergendo dal mare magnum delle personalità civili o militari che ruotano intorno alla Casa Bianca.

In ordine di possibilità, secondo chi scrive, troviamo Keith Kellogg. Già consigliere del vice presidente Pence, Kellogg è entrato nelle simpatie di Trump per la carica in questione già nel 2017 quando era stato silurato Flynn. Tenente generale dell’Esercito, aveva ricoperto la carica di consigliere per la sicurezza nazionale ad interim proprio in quei giorni per poi essere messo da parte, ma il suo nominativo potrebbe tornare prepotentemente alla ribalta perché particolarmente “amato” da Trump e per la sua gestione della Coalition Provisional Authority (Cpa) in Iraq in qualità di direttore delle operazioni.

Al secondo posto, ma a parimerito con Kellogg, troviamo Jack Keane. Generale a quattro stelle dell’esercito in pensione, è stato vice capo di Stato Maggiore dell’Us Army e ha giocato un ruolo di spicco nelle operazioni in Iraq tra il 2006 ed il 2007 che vengono chiamate “surge” (fattore che potrebbe portare in auge un altro nome come vedremo a breve). Keane ha avuto un ruolo fondamentale nel fermare il tentativo di attacco aereo all’Iran a seguito dell’abbattimento del drome RQ-4 “Global Hawk” che è stato considerato un errore al posto di una provocazione proprio grazie al suo intervento diretto nel consigliare il presidente Usa. Per aver dimostrato quindi una linea prudente nella gestione della crisi iraniana potrebbe essere tra i più papabili.

Al terzo posto troviamo l’attuale ambasciatore in Germania Richard Grenell. Trump ha sempre dimostrato simpatia verso di lui forse anche perché Grenell è un emulo dell’atteggiamento diplomatico “spumeggiante” del presidente: ha più volte bacchettato il governo tedesco in merito alle spese militari e ha condannato fermamente la Germania per aver intavolato scambi commerciali con l’Iran cercando di aggirare le sanzioni Usa. Il fatto che sia omosessuale e si sia schierato apertamente a favore della politica presidenziale in merito ai diritti della comunità Lgbt lo rende un candidato ideale per ottenere “l’effetto simpatia” che spesso è fondamentale in politica.

Al quarto posto si posizione Brian Hook. Un altro civile che ha servito sotto l’amministrazione G.W. Bush in qualità di assistente segretario di Stato per le organizzazioni internazionali. Dal 2009 al 2017 ha gestito una società di consulenze internazionali basata a Washington e sotto Trump è stato direttore del Policy Planning Staff. La sua esperienza maturata sulla questione iraniana dopo l’avvicendamento Tillerson-Pompeo lo pone tra i possibili nuovi consiglieri per la sicurezza nazionale sebbene i suoi stretti legami con Jared Kushner, genero di Trump, potrebbero, in questo caso, ostacolarlo nella nomina.

Al quinto posto riteniamo possibile il rientro di un outsider come il generale David Petraeus. Sebbene invischiato in uno “scandalo” per un rapporto extraconiugale con una giornalista che gli ha causato il siluramento nel 2012 da capo della Cia, il generale, proprio per l’oculata gestione del surge iracheno (era “l’uomo sul campo”) e per la strategia della “conquista dei cuori e delle menti” tenuta in Afghanistan durante il suo comando potrebbe ritornare prepotentemente in corsa, sebbene abbia espresso cautela in riferimento alla decisione di Trump di ritirare le truppe, ma a fronte del fallimento del negoziato coi talebani potrebbe essere comunque l’uomo giusto. 

Potrebbero arrivare ad occupare la carica vacante anche Douglas McGregor, ex colonnello dell’esercito e analista militare, Stephen Biegun inviato di Trump in Corea e già facente parte del National Security Council con G.W. Bush, Matthew Pottinger ex Marine e giornalista inviato in Cina che è rimasto un po’ inviso a Pechino, Robert O’Brien avvocato di successo di Los Angeles e inviato speciale di Trump per l’ufficio Hostage Affairs della Casa Bianca, e Rob Blair aiutante per la sicurezza nazionale del facente funzione capo di staff Mick Mulvaney che si è dimostrato antagonista proprio di Bolton nell’ultimo anno.

Un consigliere una linea politica

Al di là delle nostre previsioni, il nome che uscirà dalla Casa Bianca sarà indicativo – come sempre accade – della linea politica degli Stati Uniti: dati i vari fronti caldi già accennati in precedenza, la scelta del nominativo sarà indicatrice del ruolo che avranno in seno alla strategia di Washington.

A nostro avviso la questione iraniana sembra essere più impellente, pertanto i favoriti potrebbero essere Keane e Hook, ma il presidente Trump ci ha abituato a scelte non convenzionali pertanto tutte le possibilità restano aperte.

Quello che è sicuro, come già detto in apertura, è che l’azione di “pulizia” delle personalità contrastanti la politica trumpiana non si fermerà di certo qui ma procederà andando a toccare i vertici delle agenzia di intelligence e qualche altro ruolo chiave all’interno dei dipartimenti di Stato e della Difesa.

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