La Nato è pronta a riunirsi a Vilnius per il summit dell’11 e 12 luglio nella capitale lituana. Lì gli Stati membri proveranno a dirimere due questioni fondamentali. La prima è il destino dell’Ucraina, a tutti gli effetti alleata dell’Organizzazione, ma senza uno status giuridico che metta nero su bianco tale relazione. Il segretario generale Jens Stoltenberg ha anticipato alcune settimane fa che, in attesa del lontano ingresso di Kiev nel Patto atlantico, i 31 (ai quali a breve si aggiungerà la Svezia) avrebbero trovato un’intesa sulla costituzione del Consiglio Nato-Ucraina, un organismo ad hoc che concederà al governo ucraino un’equiparazione agli Stati firmatari del trattato di Washington.

L’eredità di Stoltenberg

L’altro nodo da sciogliere è indifferibile e riguarda la designazione del prossimo segretario generale, la figura – civile – a capo della Nato. Il segretario generale svolge tre compiti all’interno dell’Alleanza: presiede tutti i comitati più importanti e ne guida il processo decisionale garantendone l’applicazione; è il principale portavoce dell’Organizzazione; e infine si trova al vertice dello Staff internazionale, un organo il cui ruolo è quello di supportare direttamente e indirettamente il Segretario generale. Il mandato del segretario generale della Nato ha durata quadriennale e può essere esteso.

Stoltenberg, nominato nel 2014 e protagonista silenzioso delle crisi internazionali degli ultimi nove anni (compreso l’aspro scontro con Donald Trump), è già stato confermato nel 2019 e nel 2022. Il suo incarico scadrà a settembre del 2023, per cui tutti i membri sono chiamati quest’estate a scegliere chi dopo di lui potrà prendere il timone della più grande alleanza militare del mondo. Il processo di selezione si sta rivelando tuttavia segnato da ostacoli, per certi versi insormontabili.

Jens Stoltenberg, ex premier della Norvegia e segretario generale della Nato dal 2014

La guerra in Ucraina ha destabilizzato gli equilibri europei e globali, sconquassando oltre mezzo secolo di certezze. In un periodo così ricco di insidie e dove l’escalation – anche nucleare – è tornata nel dibattito tra le grandi potenze l’obiettivo della Nato è quello di mostrarsi forte, unita e resistente a qualsiasi forma di pressione proveniente dai suoi avversari. Ecco perché un anno fa è stato prorogato il mandato di Stoltenberg. Lo statista scandinavo però non è più disposto a mettersi a disposizione per una quarta volta. Già adesso, con otto anni di esperienza, è il secondo segretario generale più longevo di tutti i tempi dopo il diplomatico olandese Joseph Luns.

Una donna alla guida dell’Alleanza

A Bruxelles (sede della Nato, ndr) gli orientamenti prevalenti sarebbero quindi due, più un terzo che comunque è sostenuto da una sparuta minoranza. Un cospicuo numero di Paesi sta promuovendo da diversi mesi l’idea di candidare per la prima volta una donna alla guida dell’Alleanza. I nomi rimbalzati alla stampa sono quelli di Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca, e Kaja Kallas, capo del governo estone rieletta a marzo di quest’anno. Nient’altro che una suggestione la possibilità di pescare dalla new entry Finlandia, dove l’ex primo ministro Sanna Marin è appena diventata disoccupata.

Sulla politica danese ci sarebbe l’assenso statunitense, che forse è anche l’unico che conta. Gli americani, che la Nato l’hanno concepita e fondata nel 1949, per consuetudine preferiscono concedere il comando politico dell’Organizzazione alle nazioni europee, mantenendo però una posizione al vertice di quello militare. Nondimeno, Washington detiene de facto il potere di ratifica delle nomine e, fatto salvo il protagonismo francese, nessuno ha il coraggio di schierarsi contro gli ordini impartiti al di là dell’Oceano atlantico. Il placet dell’amministrazione Biden all’ipotesi Frederiksen sarebbe arrivato durante una misteriosa visita ufficiale della premier danese alla Casa Bianca all’inizio di giugno.

La diretta interessata ha dichiarato che non sarà lei la figura sulla quale gli Stati membri raggiungeranno un accordo, anche perché al momento attuale mancherebbe l’unanimità. Il Regno Unito di Rishi Sunak sarebbe contrario a questa soluzione, caldeggiando invece l’opzione Kallas. Anche la 46enne baltica ha tenuto degli incontri ad alti livelli con la diplomazia britannica: il 30 maggio scorso ha ricevuto a Tallinn il ministro degli Esteri inglese James Cleverly, con cui ha avuto un colloquio sulla centralità del cosiddetto fianco orientale della Nato di fronte all’aggressione russa in Ucraina. Ed è proprio l’atteggiamento duro e intransigente nei confronti di Mosca uno dei fattori determinanti nella scelta del prossimo segretario generale della Nato.

Kallas ha fatto cadere un esecutivo accusando i suoi ex partner di governo di essere filorussi. Una scommessa che ha pagato con un successo straordinario alle urne. Londra, dunque, predilige un falco anti-russo e pur di non dilapidare questo disegno ha dovuto rinunciare ai suoi candidati di spicco: Theresa May, Boris Johnson e il ministro della Difesa Ben Wallace.

L’outsider da non sottovalutare potrebbe essere Suzana Caputova, presidente in carica della Slovacchia. Il suo, insieme a quello più debole del rumeno Klaus Iohannis, è un nome che circola da gennaio e potrebbe rispondere all’esigenza di chi vorrebbe accrescere il peso e la rappresentanza dell’Europa dell’Est.

Caputova sta affrontando una lunga e delicata crisi politica in patria dopo l’implosione del governo di Eduard Heger, uno dei maggiori fornitori militari dell’Ucraina. Il capo dello Stato slovacco sembra fisicamente provata e preoccupata per le minacce provenienti dagli ambienti filorussi fomentati dall’opposizione capeggiata da Robert Fico. Da parte sua potrebbe dunque mancare la disponibilità a proseguire l’impegno politico oltre i confini slovacchi.

La premier danese Mette Frederiksen alla Casa Bianca con Joe Biden il 5 giugno 2023. Foto: Ansa.
Kaja Kallas, primo ministro estone, durante un bilaterale con Boris Johnson a Londra il 6 giugno 2022. Foto: Ansa/Epa/Jason Alden.

Gli interessi dell’Europa mediterranea

Nelle ultime ore le diplomazie occidentali stanno sondando altre proposte. È emerso il profilo di Pedro Sánchez, premier spagnolo dimissionario in piena campagna elettorale. In Spagna si voterà il 23 luglio e i sondaggi non sorridono a Sánchez, che potrebbe lasciare e ritrovarsi catapultato nella Nato. Rispettando peraltro il principio dell’alternanza tra leader dell’Europa settentrionale e quella meridionale, una regola non scritta che si è smesso di seguire dal 2009 in poi.

E l’Italia, in tutto ciò? Il granitico atlantismo di Giorgia Meloni indica che Roma si aggregherà a quanto verrà deliberato dagli Stati Uniti. La rappresentanza italiana permanente a Bruxelles, interpellata da InsideOver sul tema dell’elezione del nuovo segretario generale, non ha voluto commentare i vari scenari all’orizzonte.

Non trovano riscontro le voci diffuse in passato sugli ex presidenti del Consiglio Matteo Renzi e Mario Draghi. Quest’ultimo in particolare avrebbe esplicitamente rifiutato l’invito rilanciato subito dopo l’addio a Palazzo Chigi.

Verso uno Stoltenberg quater

Neppure il piano d’emergenza approntato dal gruppo dei “prudenti” i quali, per non forzare la mano e scongiurare una battaglia politica che veicoli il messaggio di un’Alleanza divisa, avrebbero avanzato a Stoltenberg l’ennesima offerta per traghettare l’Organizzazione fino al 2024. “Ho ribadito più volte che non cerco una proroga e che non ci sono altri piani se non quello di terminare il mio lavoro, e il mio incarico termina, questo autunno”, è la dichiarazione reiterata dal segretario generale uscente a margine di una recente riunione ministeriale. Ma fonti qualificate, sollecitate anche da InsideOver, confermano che, in assenza di una svolta degna di nota, la direzione verso la quale ci si avvicina al vertice di Vilnius è uno Stoltenberg quater.

“Se ne sta discutendo, anche ad alti livelli, e ci sarebbe un consenso generale in Europa come in America”, ci spiega una fonte informata dell’andamento del dibattito in corso a Bruxelles, nonostante uno dei timori di Joe Biden sia quello di accumulare troppe scadenze nel 2024, quando verranno rinnovati parlamento e Commissione europea. Il momento delle decisioni storiche è alle porte e la Nato è attanagliata dai dubbi. Ma una via d’uscita c’è sempre.

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