Stephen K. Bannon nasce a Norfolk, in Virginia, nella regione di Hampton Roads, una città indipendente formata da più di 250 mila abitanti. Apparentemente un posto neutro, se non fosse totalmente rappresentativo di quell’ “America impoverita” con cui Noham Chomsky spiega la vittoria di Trump.

Un centro strutturato su due canoni: quello militare ( importante nodo strategico) e quello operaistico ( la più grande base navale del mondo e sede della Norfolk Southern Railway, tra le principali compagnie ferroviarie americane). Una cittadina che potrebbe essere perfettamente elevata a simbolo di quella conversione del Rust Belt, per quanto distante geograficamente, di cui tanto si è dibattuto ultimamente. Bannon, esemplificativamente, proviene da una famiglia Kennedyana.  La cintura di ruggine, in fin dei conti, travalica i confini degli Stati ascrivibili a quella zona e tocca le corde dell’ intero insieme di cittadini americani non abituati al voto, ma recatisi convintamente alle urne per sostenere l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America. Stephen K. Bannon, Senior Counselor e Chief Strategist,è il nuovo consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Trump, una nomina che sta facendo discutere, ovviamente. Steve, così come solitamente viene chiamato, infatti, è l’ex direttore del sito Breitbart Newsla piattaforma dell’ Alt Right, strumento di numerose pubblicazioni ritenute razziste.

L’ascesa di Bannon nel team di Trump inizia quando viene rimosso Paul Manafort , durante le primarie repubblicane, nel momento in cui Trump perse sei punti percentuali rispetto alla Clinton ( almeno secondo un sondaggio di RealClearPolitics) , così Bannon divenne Chief Executive della campagna.

Giornalista, politico, regista, mentre dietro le quinte, per alcuni sarebbe un manipolatore oscuro e una sorta di versione contemporanea di Edward Bernays, il famoso pubblicitario nipote di Freud.  Noto inizialmente negli States come regista e produttore, dal 1991 ad oggi ha diretto otto documentari riguardanti la corruzione, l’economia mondiale e i processi politici. Ha prodotto, inoltre, sedici film. I media americani sostengono sia l’ideatore del discorso di Trump sui temi del nazionalismo e del populismo dello scorso 20 settembre, che sia l’ispiratore del Muslim Ban e che tenterà in ogni modo di far sì che gli Stati Uniti si distanzino definitivamente dall’islam politico.  Ex docente di Amministrazione di impresa all’Università di Harvard e co-fondatore del Government Accountability Institute a Miami, banchiere di Goldman Sachs, ha conseguito un master in sicurezza nazionale alla Georgetown University ( un master notturno).

Ne viene fuori un ritratto che per alcuni versi sfiorerebbe la genialità, un sacro protettore del trumpismo vocato in discipline eterogenee, innamorato della figura di Reagan tanto che il New York Times ha sostenuto che l’operazione di Bannon stia consistendo nel plasmare Donald Trump in un Reagan adatto alla contemporaneità.

Anche per mezzo di  Breitbart News, certo, divenuto, per usare una delle definizioni dei suoi oppositori una “Pravda Trumpista”. Un guru dei new media, uno stratega che ha iniziato con la politica investigando gli amministratori americani per mezzo del GAI, un ente no profit, un militare dell’U.S. navy, proveniente da una famiglia cattolica, appartenente ai cosiddetti blue collar, di origini cattolico-irlandesi, una famiglia democratica, paradossalmente. Accusato di essere antisemita dalla sua ex moglie, ha pubblicamente espresso per anni la convinzione secondo cui la priorità strategica da dover portare a termine era quella di destrutturare dalle fondamenta il Grand Old Party. “Dick Cheney. Darth Vader, Satana. Questo è il potere!” In questa frase rilasciata a fine novembre scorso, c’è l’intero alone di mistero che pervade una figura fatta più d’ombre che di luci, ma che se realmente avesse ideato dalle basi, nelle tematiche e negli sviluppi comunicativi, la vittoria di Donald Trump, avrebbe già dimostrato al mondo di essere in grado di realizzare l’impronosticabile.

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