Nel cuore di Roma, in Oltretevere, ma a due passi da una delle capitali più importanti della Nato è pronto a prendere possesso dell’ambasciata russa presso la Santa Sede Ivan Soltanovsky, fresco di nomina da parte di Vladimir Putin.
Un veterano della diplomazia
68 anni, una vita in diplomazia, Soltanovsky è da ritenersi un veterano tra le feluche di Mosca, di cui ha interpretato ogni sorta di visione e ambivalenza. Da un lato, ha accettato la visione di Vladimir Putin sul neo-espansionismo russo dichiarando, nel 2017, l’annessione della Crimea conforme ai principi di Helsinki sulla convivenza tra i popoli europei stabiliti nel 1975 e criticando la minaccia posta a suo avviso dall’Occidente all’ordine europeo contrastando la Russia. Dall’altro, ha però cercato di tenere un filo diretto tra Mosca e le organizzazioni internazionali con cui il Cremlino ha rotto da tempo.
Ivan Soltanovsky è stato infatti incaricato negli ultimi tempi di due ruoli di peso. Dapprima, dal 2017 al 2019, è stato viceambasciatore alla Nato a Bruxelles. In seguito, dal 2019 fino allo scorso marzo, è stato l’ultimo rappresentante permanente della Russia al Consiglio d’Europa, organizzazione da cui Mosca si è ritirata nel 2022. Portatore della visione del Cremlino, Soltanovsky non può essere definito un falco interventista portavoce della visione di Putin e non ha avuto mai uscite eccessivamente interventiste e guerrafondaie. Anni fa forzò decisamente la realtà sui diritti umani ricordando che nella Crimea occupata dalla Russia non c’era alcuna traccia di tensioni etniche, deviando l’argomento dall’illegalità dell’annessione della penisola contesa da parte di Mosca.
Soltanovsky, falco a metà
Pur sul fronte di una visione schierata sulla dottrina del suo Paese, Soltanovsky non ha mai cessato di ricordare l’importanza di un “sistema di sicurezza collettivo” in Europa. In occasione dell’ottantesimo anniversario dell’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, l’1 settembre 2019, ricordò: “Questo anniversario è una buona ragione per pensare come il dogmatismo, la testardaggine e la miopia delle élite europee degli anni Trenta abbiano dato luogo a conseguenti eventi fatali che hanno portato l’umanità a una strage di sei anni. Non possiamo che trovare parallelismi molto spiacevoli se confrontiamo gli eventi di quel tempo e gli attuali processi politici”. Aggiungendo: “Gli Stati occidentali si sforzano ancora di garantire la loro sicurezza a spese degli altri. Tutte le recenti iniziative russe per creare un sistema di sicurezza comune in Europa sono state ignorate”.
Una visione dura, espressa però nel contesto del Consiglio d’Europa, dunque di un’organizzazione internazionale alla cui rottura avvenuta su decisione di Putin Soltanovsky si è opposto prima di essere di fatto rimosso per atto amministrativo dal Cremlino, che di fatto gli tagliò la faccia, avendo il diplomatico espresso poco prima il rifiuto della Russia di uscire dal Consiglio.
Le mosse del Vaticano con Mosca e Kiev
Ora Soltanovsky avrà un compito complesso: gestire i rapporti con Papa Francesco, “pontiere” d’Oltretevere, desideroso di mettere il Vaticano non tanto e non solo a diventare artefice di una mediazione politica che ad oggi nella guerra russo-ucraina è difficile veder emergere, ma piuttosto nella prospettiva di non chiudere porte alla pace.
La missione culturale, politica e in un certo senso anche “escatologica” della Santa Sede, dall’inizio della globalizzazione ad oggi, è stata quella di rendere ogni nazione e ogni potenza conscia del principio di responsabilità da e verso le altre nazioni. Questo ha portato molto spesso il Vaticano a prendere posizioni scomode: sull’Iraq e l’intervento Usa nel 2003, in un inedito asse con Putin nel 2013 per fermare i raid americani contro Bashar al-Assad in Siria, ma anche contro la guerra russa contro l’Ucraina nel 2022, quando Francesco non ha lesinato dichiarazioni sulle “crudeltà” subite dagli ucraini senza lesinare però sforzi per un compromesso, una riappacificazione tra i popoli, una sintonia umorale e culturale.
Una partita (anche) religiosa
Il Vaticano vuole tenere le porte aperte per il dopoguerra. Lo ha dimostrato con la Via Crucis del 2022 e del 2023, unendo russi e ucraini nella lettura della Parola, a dimostrazione della volontà di mantenere la coscienza di un legame tra Mosca e Kiev che la storia ha plasmato e non si vuol vedere travolto dalla guerra in atto. Aleksandr Avdeyev, predecessore di Soltanovsky in carica da dieci anni, ha più volte mostrato di non capire questo trend storico. Anche, se non soprattutto, perché molte delle puntate del Vaticano nella guerra russo-ucraina hanno a che vedere con la volontà di preservare la comunione ecumenica tra le Chiese, che in campo ortodosso è stata travolta dalla rottura tra Russia e Ucraina. In quest’ottica, la missione di Soltanovsky sarà anche georeligiosa.
L’ambasciatore nominato è un grande amico del Patriarca Kiril, capo della Chiesa di Mosca, con cui nel 2016 a L’Avana Francesco ha concluso il primo, storico incontro bilaterale tra capi delle due confessioni cristiane più rappresentate al mondo prima di distanziarsi per la sudditanza del “cappellano del Cremlino” alle logiche etno-nazionaliste di Putin. Perché il Vaticano abbia successo nella sua mediazione di lungo termine, missione spirituale prima ancora che politica, servirà riaprire un filo diretto tra le Chiese, oggi temporaneamente spezzato. A uno dei decani della diplomazia russa questo compito, che gli permetterà di frequentare da vicino le alte sfere pontificie. E, al contempo, guardare da vicino una capitale critica per la diplomazia occidentale, crocevia di ambasciatori, ministri, politici, spie. Non tanto e non solo per la presenza del cuore del potere italiano e di strutture strategiche della Nato, quanto per l’andirivieni che caratterizza il vero centro politico di Roma che rende oggi l’Urbe globale: la Santa Sede. Che Mosca vuole, come dimostra la nomina, presidiare in forze.