Dalla guerra dei dazi alla guerra del virus. Cambia il terreno di scontro ma i due sfidanti sono sempre gli stessi: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra la Cina. Dopo aver spiazzato il mondo intero imponendo tariffe sulla quasi totalità dei beni cinesi importati dagli Usa, Donald Trump è pronto a sfidare nuovamente Pechino. Questa volta l’oggetto della contesa non è più il commercio internazionale, quanto il Covid-19.
”Virus cinese” lo ha definito l’inquilino della Casa Bianca, scatenando le ire del Dragone. E ancora, riferendosi al gigante asiatico: ”Se ha diffuso il coronavirus la pagherà”. Insomma, Donald Trump ha lanciato all’indirizzo di Pechino minacce su minacce che elettrizzano ulteriormente il già tesissimo legame sino-americano. Ma chi è che sta orchestrando la nuova battaglia americana sul virus?
Come ha ricostruito il Washington Post, dietro le dichiarazioni (e le mosse) di The Donald troviamo Matthew Pottinger. Da corrispondente, un ventennio fa, ha conosciuto l’intimidazione di Pechino, ed ora è l’uomo che a Washington sta progettando la nuova strategia della tensione con la Cina. Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, è stato corrispondente, prima della Reuters e poi del Wall Street Journal, in Cina, avendo modo di coprire l’epidemia di Sars. In un articolo del 2005 sul Journal ha poi raccontato di essere stato ripreso in video dalla polizia cinese, di come doveva buttare i suoi appunti nella toilette per non essere controllato e come era stato aggredito da “un gorilla del governo” in un locale di Pechino
L’artefice della ”guerra del virus”
Oggi Pottinger è il vice consigliere per la Sicurezza Nazionale e può vantare un passato da giornalista prima ancora di passare alla carriera militare e poi di governo. È stato proprio Pottinger il primo a instillare, a metà febbraio, in Donald Trump il dubbio sull’operato della Cina di Xi Jinping, che fino a quel momento il presidente americano lodava ed apprezzava pubblicamente per gli sforzi contro il Covid-19.
A Trump, il vice consigliere delineò un quadro in cui i leader cinesi da una parte insabbiavano le proprie responsabilità per la pandemia e dall’altra lanciavano una vasta campagna di disinformazioni e fake news per scaricarla su altri. Proprio in quell’occasione Pottinger esortò Trump e gli altri esponenti dell’amministrazione ad iniziare ad usare il termine ”virus di Wuhan” o “virus cinese”, cosa in effetti iniziarono a fare, avviando così il nuovo fronte dello scontro con Pechino. Ma non è finita qui, perché sembrerebbe che in privato Pottinger usi toni ancora più duri contro il Dragone, parlando di una spinta da parte di Xi verso un “totalitarismo” con sistemi di controllo alla Orwell della società.
I falchi della Casa Bianca
Sin dall’inizio della crisi del coronavirus, Pottinger ha promosso e sostenuto tutte le iniziative poi sgradite a Pechino: dal blocco dei voli alla riduzione dei visti ai giornalisti cinesi, accusati di lavorare per la propaganda, fino all’apertura del nuovo fronte con le accuse e successivo stop dei fondi all’Oms.
Certo, per quanto accresciuta la sua influenza ha i suoi limiti, come prova la telefonata che il mese scorso Trump ha avuto con Xi e che, per un po’, ha allentato la tensione. In ogni caso, ad opporsi al partito dei falchi, in cui va annoverato anche il consigliere per il Commercio, Peter Navarro, troviamo Jared Kushner, genero e consigliere di Trump, il consigliere economico, Larry Kudlow, e il ministro del Tesoro, Steven Mnuchin, quanto mai preoccupati delle conseguenze economiche dello scontro.
Sul lato opposto del fiume troviamo proprio lui: Pottinger, molto attivo anche dietro le quinte, nonché tra quelli che stanno facendo pressioni sull’intelligence per trovare prove alla tesi che l’epidemia è stata originata da un incidente in un laboratorio del centro di virologia di Wuhan. La seconda parte dello scontro Usa-Cina è solo all’inizio.