Nelle ultime ore si è prepotentemente tornati a parlare di ItalyGate, il presunto complotto che vede il nostro Paese protagonista dei brogli elettorali ai danni dell’ex presidente Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. Per Repubblica, infatti, il Pentagono, per ordine diretto della Casa Bianca, avrebbe indagato sull’Italia, sospettata di aver truccato le presidenziali americane dell’anno scorso a favore di Joe Biden. Come ha riportato poi l’agenzia AdnKronos, il Copasir si sarebbe attivato sul caso ItalyGate dopo le indiscrezioni di stampa sulla presunta visita di americani nel carcere di Salerno con l’intento di interrogare un hacker italiano detenuto, Arturo D’Elia. A quanto apprende l’Adnkronos, come avvenuto in altri casi, anche questa vicenda è all’attenzione del Comitato che agisce sempre per profili di sua competenza relativi cioè alla sicurezza nazionale.
Il complotto dell’ItalyGate
Facciamo un passo indietro. Poche settimane dopo l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump, il 19 gennaio 2021, nel carcere di Fuorni, a Salerno, si presentano la deputata Sara Cunial con un avvocato e due americani, presumibilmente due addetti dell’ambasciata americana a Roma. Che cosa fa la Cunial con due americani? La radice va ricercata nel libro Betrayal: The Final Act of the Trump Show, del giornalista americano Jonathan Karl di Abc News. Kash Patel, al tempo sottosegretario alla Difesa di Trump, avrebbe chiesto di inviare degli uomini per parlare con il detenuto Arturo D’Elia, il consulente di Leonardo SpA arrestato lo scorso dicembre 2020 per un presunto attacco hacker ai danni della Ex Finmeccanica, finito suo malgrado al centro delle teorie complottiste di Q-Anon.
Secondo quella tesi, rilanciata anche dall’avvocato di Trump, Rudy Giuliani, dietro la grande frode di voti che avrebbe consentito a Biden di vincere le elezioni ci sarebbero i server di Dominion e Smartmatic, la multinazionale che implementa i sistemi di voto elettronico nel mondo. Nei giorni successivi alle elezioni, alcuni gruppi legati a Q-Anon parlarono addirittura di un presunto raid delle forze speciali americane a Francoforte per acquisire i server di Dominion e, di conseguenza, svelare la truffa del partito democratico. Secondo alcuni supporter di The Donald, come Neal David Sutz, un cittadino statunitense che, attualmente, vive in Svizzera, nel complotto internazionale contro Trump l’Italia avrebbe inoltre ricoperto un ruolo fondamentale.
Il racconto di D’Elia: “Una grande bufala”
Il coinvolgimento del nostro Paese nei brogli elettorali sarebbe avvenuto tramite Leonardo Spa, l’azienda leader nel settore della Difesa. Nello stesso periodo post-elezioni Usa, circolava in fatti sui social media la foto di un documento datato 6 gennaio 2021. Era una presunta dichiarazione giurata (affidavit) nella quale un certo Prof. Alfio D’Urso sosteneva che l’esperto informatico Arturo D’Elia avrebbe sfruttato il satellite Leonardo per manipolare il voto e permettere così a Joe Biden di sottrarre voti legittimi a Donald Trump. Come avevamo già appurato su InsideOver, quest’ipotesi, però, è stata rispedita al mittente da Nicola Naponiello, l’avvocato dell’hacker.
D’Elia ha raccontato a La Repubblica che tutta la vicenda “è tutta una grandissima bufala. Un’emerita idiozia ha fatto il giro del mondo: all’inizio sembrava uno scherzo. Ma poi tutto è diventato incredibilmente serio. Non ho rubato nulla, non passo nulla a nessuno. Io ho solo creato un malware che ha provocato un buco, penetrando quei sistemi. Ma poi sono stato io stesso a ripararli” spiega. Secondo l’accusa, D’Elia spiò le Divisioni aerostrutture e velivoli e copiò 10 giga di dati. “È stato il mio errore, la mia caduta. Forse serviva a rendermi più indispensabile”, spiega, raccontando della visita in carcere della Cunial con i due americani: “Una storia che mi stupì – racconta – Era il 19 gennaio 2021. C’era una visita di una parlamentare in carcere, poi mi fu detto essere la deputata Cunial. Ma accade una cosa strana. Mentre eravamo lì, le celle sono aperte, due soggetti, con accento americano, mi avvicinarono, si capiva che volevano parlarmi separatamente. Ne fui sorpreso. Introdussero il tema delle elezioni americane, stavano per chiedermi delle cose… io li stoppai… Chiamai la polizia penitenziaria, segnalai la cosa, insomma cercai di proteggermi. Capii che quello che accadeva sotto i miei occhi, non era assolutamente normale. Ero già molto esposto, il mio nome era su tante testate anche estere. Percepii degli imbarazzi intorno a me”. “Ne chiesi conto alla direzione del carcere – aggiunge il legale – che si scusò, ma poi segnalai tutto anche ai pm”.
La storia del complotto italiano contro Biden
Le teorie cospirative sulle elezioni presidenziali Usa si basano perlopiù su un video di Brad Johnson, uomo della Cia, almeno è così che si presenta, nel quale si sostiene la veridicità del già citato raid delle forze speciali americane a Francoforte per acquisire i server di Dominion, l’azienda coinvolta nei sistemi di voto; le informazioni raccolte dai server sarebbero state successivamente trasferite presso l’ambasciata americana a Roma. A spingere sull’acceleratore di questa teoria sono state, in particolare, due donne. Come vi abbiamo già raccontato su InsideOver, è stato a suo tempo il Washington Post a rivelare l’identità delle due donne che hanno fatto circolare la teoria cospirativa che avrebbe consentito a Biden di vincere le elezioni rubando milioni di voti a Trump. Si tratta di una ex candidata Gop titolare di una piccola azienda della Virginia, e di un’attivista trumpiana della Florida, la cui ambizione era salvare il mondo dal “collasso morale”. Particolarmente significativo il ruolo di Michele Roosevelt Edwards, 65 anni, fino all’anno scorso nota come Michele Ballarin, titolare di una piccola compagnia in Virginia, la Institute for Good Governance, la società che ha divulgato la dichiarazione dell’avvocato Alfio D’Urso.
Italygate VS Spygate
L’ItalyGate non ha nulla a che vedere con il cosiddetto Spygate e con il filone italiano del Russiagate. “Lo Spygate potrebbe essere uno degli scandali politici più grandi della storia”, scriveva in un tweet del maggio 2018 il presidente Trump, nel quale puntava il dito contro l’amministrazione Obama, il dipartimento alla Giustizia e soprattutto l’Fbi. Successivamente, Trump diede mandato al procuratore generale William Barr di costituire un team investigativo guidato dal procuratore John Durham per indagare sulle origini delle indagini dell’Fbi sul Russiagate del 2016 e determinare se la raccolta di informazioni sulla campagna di Trump fosse “lecita e appropriata”. L’indagine – ancora in corso – ha lo scopo di accertare se funzionari di alto rango in varie agenzie governative americane abbiano abusato del loro potere al fine di condurre una raccolta di informazioni illecita su una campagna presidenziale a fini politici, nonché di chiarire il ruolo dei servizi segreti dei Paesi alleati degli Stati Uniti, fra cui l’Italia.
Che cosa c’entra il nostro Paese? Figura chiave di questa storia è il misterioso professor Joseph Mifsud, al tempo collaboratore della Link University, l’università romana fondata dall’ex ministro degli Esteri Vincenzo Scotti. Secondo la ricostruzione ufficiale, il docente affermò in un incontro dell’aprile 2016 a George Papadopoulos, consigliere della campagna di Trump, di aver appreso che il governo russo possedeva “materiale compromettente” (dirt) su Hillary Clinton “in forma di e-mail”. Papadopoulos avrebbe ripetuto tali informazioni all’Alto Commissario australiano a Londra, Alexander Downer, che a sua volte riferì tutto alle autorità americane. Da qui, il 31 luglio 2016, partirono le indagini dell’Fbi sui presunti collegamenti tra Trump e la Russia. Come ha sempre sostenuto Papadopoulos, il nostro Paese è “l’epicentro della cospirazione”. È davvero così? Per scoprirlo, bisognerà attendere l’esito dell’indagine del procuratore speciale John Durham, che ha visitato l’Italia per ben due volte nell’estate 2019 in compagnia dell’ex Attorney general William Barr.