Il silenzio della Corea del Nord sulle elezioni americane potrebbe presto essere squarciato da qualche editoriale al veleno della Kcna, l’agenzia di stampa ufficiale di Pyongyang. Non sarebbe la prima volta che Joe Biden, ora a un passo dal diventare ufficialmente il prossimo presidente degli Stati Uniti, verrebbe preso a male parole dai media nordcoreani. Appena un anno fa fu definito un “cane rabbioso” che “deve essere picchiato a morte con un bastone”. Al candidato democratico si imputava la colpa di aver infangato la dignitĂ  della leadership nordcoreana. Un atto, questo, che meritava (e merita presumibilmente ancora oggi) “una punizione spietata”.

Ancora oggi non è chiaro quali commenti di Biden avessero scatenato la rabbia della Corea del Nord. Negli ultimi mesi, in campagna elettorale, l’ex vicepresidente statunitense aveva accusato Trump di avvicinarsi a “dittatori e tiranni” e descritto i tre incontri avuti dal tycoon con Kim Jong Un “tre vertici fatti per la tv”. In ogni caso la Kcna, nelle poche volte in cui lo ha fatto, si è riferita al nuovo presidente degli Stati Uniti chiamandolo soltanto per cognome e sottolineando la sua vecchia carica, quella di vicepresidente sotto Barack Obama.

Non solo: in alcuni passaggi della vecchia invettiva il cognome di Biden è apparso come “Baiden”, un errore di battitura o forse, piĂą probabilmente, una storpiatura volontaria. Lo scorso maggio i media nordcoreani avevano risposto a un comizio di Biden, questa volta scritto correttamente, etichettando il candidato democratico come uno “sciocco dal basso quoziente intellettivo”. Un’eventuale reazione rabbiosa di Pyongyang non sarebbe certo un buon biglietto da visita per Joe Biden, il quale potrebbe presto ritrovarsi tra le mani un nodo spinosissimo.

Una reazione violenta

La Corea del Nord è solita insultare i leader politici stranieri quando questi si lasciano andare in dichiarazioni calunniose nei confronti della leadership nordcoreana o in annunci di politiche ostili contro il suo governo. Giusto per fare un esempio, nel 2014 i media nordcoreani paragonarono Obama a una “scimmia in una foresta tropicale” e si rivolsero all’ex presidentessa della Corea del Sud, Park Geun-hye, con epiteti irripetibili. Anche Donald Trump è stato offeso, salvo poi venir elogiato in seguito all’apertura diplomatica con Kim Jong Un.

Tornando al vecchio attacco della Kcna contro Biden, il messaggio risuona tanto chiaro quanto minaccioso: “Chiunque osi calunniare la dignitĂ  della leadership suprema della Corea del Nord non potrĂ  mai risparmiare la punizione spietata della Corea del Nord”. E ancora: “I cani rabbiosi come Baiden (questa la stortura grammaticale di cui parlavano ndr) possono ferire molte persone se gli viene permesso di correre. Devono essere picchiati a morte con un bastone, prima che sia troppo tardi”. Rileggere quelle parole adesso fa capire quanto Pyongyang fosse distante anni luce dal modus operandi di Joe Biden.

Un avvertimento

In realtĂ  le imminenti reazioni della Corea del Nord all’elezione di Joe Biden vanno oltre la semplice questione dialettica. Kim non ha alcuna voglia di sentirsi definire “dittatore” o “teppista”, ma ha ancora meno piacere nel vedersi relegare nel dimenticatoio dell’agenda politica di Washington. Probabilmente è troppo tardi, ma insultando Biden il governo nordocreano starebbe cercando di lanciare un appello a Trump, che negli ultimi mesi ha continuato a descrivere come buono il suo rapporto personale con Kim.

Le previsioni per i prossimi mesi si preannunciano tempestose, con elevate chance di assistere a episodi di instabilità nella penisola coreana a causa delle possibili azioni provocatorie intraprese da Pyongyang. La verità è che Biden è ancora un fattore sconosciuto nel calcolo strategico del governo nordcoreano. Ricordiamo che Kim era riuscito a instaurare un rapporto diretto con Trump.

Adesso, invece, non sappiamo se Biden e i suoi consiglieri comprenderanno a fondo il valore che la Corea del Nord attribuisce al non voler essere ignorata o sminuita. Se così non dovesse essere, non è da escludere che Kim possa presto ordinare una dimostrazione di forza (test) per far capire alla nuova amministrazione americana che la Repubblica Popolare Democratica di Corea dovrà essere trattata dagli Stati Uniti al pari di tutti gli altri Paesi.

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