Una delle costanti dei test missilistici e nucleari di Kim Jong-un è stata quella di aver svolto queste prove (o provocazioni) contemporaneamente agli eventi più importanti della politica interna ed estera cinese. La presentazione della Nuova Via della Seta fu accompagnata dal lancio di missili nordcoreani, così come il vertice Brics di Xiamen fu “sconvolto” dal test nucleare di Pyongyang che mise in ombra l’importanza dell’incontro ospitato dal governo cinese. Una concomitanza di provocazioni nordcoreane ed eventi cinesi che aveva fatto intendere come in realtà, quello che voleva Kim Jong-un non era tanto lanciare un messaggio di guerra al resto del mondo, ma provocare Pechino, costringendola a considerare la Corea del Nord qualcosa di più di un’appendice geografica della propria sfera d’influenza. Il regime di Pyongyang, specie con l’ascesa di Kim Jong-un, ha sempre voluto trovare un proprio margine di manovra, nonostante lo strapotere cinese, e il possesso di un proprio arsenale atomica diventa sia un’assicurazione sulla vita, sia uno strumento per giungere a un riconoscimento internazionale anche da parte dello stesso “alleato” cinese.

In questi anni, Xi Jinping non ha mai mostrato troppa stima nei confronti del giovane dittatore nordcoreano né ha voluto mai incontrarlo. E circolano insistenti le voci di un piano dei servizi segreti cinesi per decapitare il regime e porre al comando un personaggio più affine a Pechino. Kim è stato sempre un vicino scomodo, che con le sue provocazioni non solo ha messo a repentaglio la stabilità dell’area, ma ha anche reso possibile la crescita della presenza militare americana, la militarizzazione del Giappone e l’installazione del sistema Thaad in Corea del Sud. A questo, si è aggiunto lo schiaffo diplomatico di dimostrare al mondo che la Cina non è in grado di tenere a freno neanche un Paese come la Corea del Nord, che rappresenta una ferita aperta nella volontà di Pechino di elevarsi a nazione leader di una nuova globalizzazione.

Nelle ultime settimane, è cambiato qualcosa in questa dinamica fra Pyongyang e Pechino. E forse si potrebbe partire da qui per comprendere la direzione che sta prendendo la crisi in Corea. Il regime nordcoreano non ha attuato alcun test missilistico né nucleare in concomitanza con il congresso del Partito comunista cinese. Il grande evento che ha incoronato Xi Jinping come leader indiscusso della Cina non è stato colpito da eventi esterni della penisola coreana che potessero oscurarne l’importanza. Alla mancata provocazione durante il Congresso, si aggiunge la lettera di congratulazioni di Kim Jong-un inviata a Xi in occasione dell’elezione, in cui il leader della Corea del Nord “esprime la convinzione che le relazioni tra i due partiti e due Paesi si svilupperanno nell’interesse dei popoli dei due Paesi”. Un messaggio non di poco conto, in un periodo in cui i due Stati si sono trovati due fonti opposti e in cui Pechino ha anche approvato le sanzioni Onu imposte a Pyongyang. A questa lettera di Kim, ha risposto lo stesso leader cinese con un messaggio, come riporta l’agenzia nordcoreana Kcna, in cui è scritto: “Auspico che alla luce della nuova situazione, la Cina e la Corea del Nord compiano sforzi comuni per promuovere la sostenibilità e lo sviluppo stabile delle relazioni tra le due nazioni”. Messaggi di distensione che non possono non essere messi in relazioni con il prossimo vertice di Xi Jinping con il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, a margine dell’incontro Apec in Vietnam. Un incontro che arriva a poche settimane dalle dichiarazioni dei ministri degli Esteri cinese e sudcoreano che hanno detto che i due governi sono intenzionati a normalizzare le relazioni fra i due Paesi. L’idea è che la tela di Xi stia iniziando a dare i suoi frutti. E che lo stia facendo proprio mentre il presidente Usa sta per arrivare in Asia.