Difficile riassumere, all’interno di un semplice dato numerico, cosa voglia significare la vittoria di Jair Bolsonaro in un paese, quale il Brasile, grande quanto un continente. Composto da numerose etnie differenti, dalla storia differente e dalle tradizioni altrettanto differenti, attraversato da divisioni sociali importanti ed imponenti, comprendere il più grande paese dell’America Latina con una semplice percentuale è operazione quasi utopistica. Ma alcuni tratti in tal senso si possono anche tratteggiare. In primo luogo, la vittoria di Bolsonaro indica una profonda insoddisfazione verso la classe politica uscente. Ci si rivolge a lui, in primo luogo, perché popolare e perché, nonostante i suoi 25 anni di politica, riesce ad apparire quasi come un “volto nuovo” o comunque slegato dai precedenti casi di corruzione. C’è un’assonanza con la vittoria di Donald Trump negli Usa, che non è soltanto legata all’appartenenza a colori politici di destra: a Bolsonaro sono andati i voti anche di operai e ceti meno abbienti, come per il tycoon newyorkese nel 2016. Segno di come il Brasile, dalle fasce più agiate a quelle che nel 2002 hanno permesso la vittoria di Lula, volesse repentinamente cambiare pagina.
La politica economica di Bolsonaro
Ma adesso per il nuovo presidente arriva il difficile. Il Brasile, dopo anni rampanti avuti sul finire del decennio scorso, affronta una grave crisi economica e sociale. Le olimpiadi del 2016 di Rio, volute proprio per mostrare al mondo il volto di un Brasile più moderno, hanno evidenziato le spaccature di questa enorme nazione e le difficoltà a reggere il passo con i cambiamenti occorsi negli ultimi 15 anni. Il Brasile è in affanno, molto più che prima: cresce la disoccupazione, crescono le tensioni sociali, soltanto nel 2017 si contano più di 63mila omicidi. Le grandi megalopoli brasiliane, Rio e San Paolo in primis, vivono alcuni dei momenti peggiori della loro storia moderna, con il caos imperanti soprattutto tra periferie e favelas. Poi ci sono anche i dati macroeconomici: il Brasile ha perso il 7% del suo Pil negli ultimi due anni, anche se rimane comunque l’ottava economia del mondo. I dati dei bilanci appaiono in rosso, il debito l’anno scorso ha fatto segnare l’80% complessivo del Pil.
Bolsonaro, a destra, mette d’accordo tutti: liberali, conservatori e classe imprenditoriale. A loro promette pugno duro in economia, il che vuol dire in poche parole attuare da subito politiche d’austerity nel breve periodo. Una mossa di discontinuità rispetto ai suoi ultimi predecessori, i quali invece hanno fatto della spesa pubblico soprattutto per il welfare e per il sociale un punto di forza. Una politica, quella di Lula e Dilma Roussef, che ha tolto dalla povertà migliaia di famiglie ma che, a causa dell’instabilità e degli scandali, non ha più avuto le basi politiche per poterla continuare. Quanto promesso da Bolsonaro appare comunque un azzardo: proprio in un momento in cui il Brasile vede la compressione del mercato interno e del suo Pil, attuare austerità rischia di creare ancora più povertà ed ancora più tensioni. Inoltre, rischia di deludere le fasce più deboli che Bolsonaro è riuscito a convincere in questi mesi promettendo la lotta alla corruzione. Potrebbero essere proprio operai ed abitanti delle favelas i primi ad essere investiti dalle politiche d’austerity e da un approccio più liberale in economia.
La politica estera del Brasile di Bolsonaro
Nessun dubbio su quella che sarà la collocazione del paese in politica estera. Bolsonaro, associato più volte a Trump, virerà verso Washington. Anche questa è una scelta di discontinuità rispetto ai suoi ultimi predecessori. Lula e Roussef hanno infatti fatto parte della schiera dei presidenti sudamericani in aperto contrasto, negli anni 2000 soprattutto, con gli Stati Uniti. Alla Casa Bianca si è imputato un atteggiamento imperialistico sul sud America, il Brasile del Partito dei Lavoratori è stato tra i promotori dello sviluppo nel continente di un fronte comune volto a smarcarsi dall’influenza Usa. La morte di Chavez nel 2013, la fine del mandato di Correa in Ecuador e l’elezione di Macri in Argentina nel 2015, hanno già ridimensionato in pochi anni quella stagione politica.
Adesso con Bolsonaro potrebbe arrivare un brusco colpo di grazia. Brasilia sarà alleata di ferro degli Usa di Trump e questo apre scenari certamente nuovi in tutto il continente. Per quel che riguarda l’Italia, c’è da aprire una piccola parentesi: è probabile che il nuovo governo autorizzi l’estradizione di Cesare Battisti. Il terrorista italiano che in Brasile ha trovato rifugio ed asilo politico, potrebbe essere estradato per via del nuovo atteggiamento su questo fronte annunciato in campagna elettorale d Bolsonaro.