Washington avrebbe intenzione di nominare l’Ammiraglio Harris, ex comandante in capo del U.S. Pacific Command (Pacom), come futuro ambasciatore presso la Corea del Sud anziché inviarlo come legato in Australia.
La legazione americana a Seul, mancante dell’ambasciatore da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca, è una delle più importanti e delicate dell’area del Pacifico e a quanto pare lo stesso neo eletto Segretario di Stato Mike Pompeo avrebbe caldeggiato la nomina di Harris per quella posizione.
La notizia sarebbe stata confermata, secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, da 3 alti ufficiali che hanno voluto restare anonimi: “La situazione per quanto riguarda la sicurezza nazionale nella Penisola Coreana è della massima priorità” ha riferito una delle fonti anonime “Le nostre relazioni con l’Australia sono e rimangono costanti e stabili”.
L’Ammiraglio Harris è sempre stato un sostenitore della linea dura in merito all’espansione cinese nell’area indo-pacifica ed è scettico riguardo ai colloqui di pace tra le due Coree: in merito a quest’ultimo punto l’ex comandante del Pacom il mese scorso ha detto esplicitamente alla Commissione dei Servizi Armati del Senato di non essere troppo ottimisti sulla riuscita del futuro summit tra Trump e Kim Jong-un e di restare “con gli occhi bene aperti”, aggiungendo che, nonostante le prospettive di pace date dall’incontro al vertice, la Corea del Nord rimane la più grande minaccia alla sicurezza dell’Asia-Pacifico. Secondo l’Ammiraglio, infatti, Kim vorrebbe vedere la riunificazione della Corea solamente al di sotto della sua influenza ora che ha raggiunto la sicurezza e si è conquistato il “rispetto” della comunità internazionale grazie al possesso di armamenti atomici.
Per questo lo stesso Trump è stato più volte cauto in merito agli accordi per una rapida denuclearizzazione della Penisola dicendo che “potrebbero essere una enorme perdita di tempo”.
La linea americana in estremo oriente quindi continua ad essere quella dura di un aperto confronto con i rivali e “competitors” nell’area e la designazione del successore di Harris al Pacom, l’Ammiraglio Phillip Davidson lo dimostra.
Davidson ha un curriculum di tutto rispetto: già a capo del U.S. Fleet Forces Command e del U.S. Naval Forces Northern Command, proviene anche dal comando della Sesta Flotta e dal Naval Strike and Support Forces NATO essendo stato anche simultaneamente il Vice Comandante delle U.S Naval Forces in Europe e del U.S. Naval Forces Africa. Inoltre è stato “allievo” dello stesso Harris e di personaggi del calibro dell’Ammiraglio Timothy Keating, in carica dal 2003 al 2004 come Director of Joint Staff , quindi al comando del Usnorthcom e del Norad infine proprio al Pacom, e degli ammiragli Tom Fargo e Joe Prueher, quest’ultimo in particolare ex ambasciatore in Cina e già Vice Capo delle Operazioni Navali.
Davidson, chiamato a riferire lo scorso 17 aprile davanti alla Commissione sui Servizi Armati del Senato in occasione della sua nomina insieme al Gen. Terrence O’Shaughnessy (Usaf) – quest’ultimo nominato comandante del Norad e del Usnorthcom – ha dimostrato di avere le idee ben chiare in merito ai compiti e alle criticità geostrategiche del comando che sarà chiamato a presiedere.
Tutti gli stessi senatori presenti all’audizione hanno esposto la propria preoccupazione in merito alla minaccia perpetrata dall’espansione aggressiva della Cina, che rappresenta una sfida strategica di lungo termine per gli Usa anche per il fatto di aver creato una bolla Anti-Access Area Denial (A2/AD) ben oltre i propri confini con l’occupazione militare delle isole del Mar Cinese Meridionale, alcune delle quali, lo ricordiamo, costruite artificialmente ad hoc. Soprattutto la Cina ha più volte dimostrato, secondo i senatori, la mancanza di volontà di seguire le regole del gioco stabilite da lungo tempo nell’area asiatica. Il riferimento è ovviamente al tentativo effettivamente riuscito di intaccare l’egemonia economico/militare statunitense nel Pacifico Occidentale.
Problematica del resto ben evidenziata, come ricorda la Commissione, dalla nuova National Defense Strategy che sottolinea come la sfida centrale alla prosperità Usa sia portata dalla rinascita (o riemersione) di potenze concorrenti di lungo termine (Russia e Cina). Nella NDS si può infatti leggere che la priorità della strategia americana è rivolta alla Russia e alla Cina mentre le sfide immediata sono rappresentate dalla Corea del Nord, Iran e dal radicalismo violento, inteso come terrorismo di matrice islamica. I 4/5 quindi di queste minacce sono presenti nell’area indo-pacifica mentre l’Iran ha dimostrato precedentemente la capacità di operare al di fuori della propria area di competenza geografica.
In questo scenario la Cina continua a implementare il proprio deterrente strategico e aumentare il livello qualitativo e quantitativo delle Forze Armate sperando così di sostituirsi agli Stati Uniti come partner per la sicurezza non solo nell’area in questione, ma anche in tutto il globo.
La preoccupazione quindi, condivisa dallo stesso Ammiraglio Davidson, è, oltre alle contingenze locali date dalla presenza già citata di basi militari nel Mar Cinese Meridionale o dalle tensioni con Taiwan, che gli Usa stiano per perdere la propria superiorità qualitativa e quantitativa nelle Forze Armate rispetto al concorrente cinese, pericolo evidenziato anche dal fatto che gli alleati asiatici di Washington stanno cominciando a giocare una partita doppia proprio per l’aumentata visibilità e capacità militare di Pechino.
I contrasti, come è ovvio e come è evidenziato proprio dalla politica dei dazi di Trump, sono anche di tipo economico, e la sfera di influenza americana nel Pacifico Occidentale, rappresentata da nuovi e vecchi alleati come il Vietnam, la Thailandia, il Giappone, le Filippine e l’Australia, potrebbe risentirne anche e soprattutto se la Cina riuscisse a mettere definitivamente le mani sulle isole contese del Mar Cinese Meridionale, da dove potrebbe controllare i traffici commerciali da e per l’Asia. Oltretutto la mancanza di fermezza da parte americana di voler intraprendere una politica volta alla risoluzione della contesa internazionale viene vista, proprio dagli alleati in quella particolare zona, come un segnale di debolezza.
La regione del pacifico-asiatica è una delle più complesse, dinamiche e sfaccettate al mondo comprendendo 36 nazioni che detengono la metà della popolazione mondiale, parecchie delle Forze Armate più grandi al mondo e soprattutto 5 delle nazioni storicamente alleate degli Stati Uniti, per questo motivo Washington non può permettersi di perdere la propria influenza in quella parte di globo, soprattutto in favore di un competitor aggressivo e spregiudicato come la Cina che ha progetti economici (la Belt and Road Initiative) supportati da programmi militari di tutto rispetto.
In questo senso Davidson è stato molto più che chiaro. Alla commissione ha esplicitamente detto di essere molto preoccupato sia dai tagli al budget della Difesa sia dai progressi compiuti dalla Cina nel campo degli armamenti, in particolare in merito a quelli ipersonici in cui il gap si fa particolarmente sentire. Una storia già sentita dai comandi di ogni livello delle Forze Armate americane.
Preoccupazione è stata espressa anche in merito alle forze nucleari intermedie cinesi, che non rientrano nel trattato di limitazione INF essendo questo un accordo bilaterale tra Usa e Russia. Davidson ha sottolineato come questo “vuoto legislativo” sia foriero di un dilemma che vede Washington impegnata a non sviluppare e dispiegare armi di questo tipo mentre Pechino ha “carta bianca”, mettendo quindi gli Usa davanti all’impossibilità di rispondere a questo tipo di minaccia.
L’Ammiraglio Davidson quindi, se nel complesso del suo discorso davanti alla commissione senatoriale non ci è sembrato propriamente un falco come il futuro (forse) ambasciatore a Seul Harris, ha comunque le idee chiare su chi sia il reale nemico degli Usa: la Cina ed i suoi progetti di espansione commerciale e militare.