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Dopo la vittoria ottenuta nelle elezione della passata settimana, adesso per il partito dei tories è giunto il momento di dimostrare di che pasta sono fatti i suoi esponenti. Nella giornata di giovedì, a corollario del discorso alla camera della regina Elisabetta II, il programma di governo è stato annunciato ai deputati presenti in un’aula a maggioranza conservatrice. L’ampia maggioranza ottenuta dal partito di Boris Johnson ha messo i tories nella condizione di governare nelle più ampie libertà assolute: ad un grandissimo onore seguono però tantissimi oneri, senza scusante alcuna.

Brexit, first of all

Non sarebbe nemmeno da sottolineare, ma il discorso principale fatto dal portavoce del partito conservatore è stato incentrato principalmente sulla Brexit, argomento che tiene banco nella politica britannica da ormai tre lunghissimi anni. Finalmente però il partito ha la possibilità di votare nella più totale autonomia, senza i timori di franchi tiratori o di retromarce all’ultimo minuto, come accaduto più di un mese fa con il Dup nord-irlandese. L’accordo con Bruxelles verrà quindi ratificato da Westminster già nei prossimi giorni, come preannunciato a scrutini effettuati da Johnson. La mossa successiva sarà concordare con l’Unione europea le questioni formale legate alle merci soggette nuovamente a dogana; discorso che tiene banco soprattutto per la difficile questione di Belfast. Tuttavia, per i tories nulla appare impossibile, consci che un mancato accordo rischi di essere peggiore per la compagine europea, piuttosto che per Londra. Almeno, questa è la credenza che si vocifera all’interno dei palazzi parlamentari.

Scuole e sanità: avanti tutta col programma conservatore

Altri due punti chiave espressi dal neo insediato governo britannico hanno riguardato importanti questioni di gestione interna del Paese che hanno tenuto banco durante la campagna elettorale: l’istruzione e la sanità. Mentre per il secondo sono state mantenute le intenzioni a proseguire col piano di 50mila nuove assunzioni nel personale infermieristico (cui rappresentanti sono stati chiamati al numero 10 di Downing Street mercoledì), il primo ha visto un rilancio dei fondi destinati durante i numeri della campagna elettorale. Sarà dunque una gestione interna del Paese lanciata verso l’ordine e la (si spera) buona gestione della Res Publica, in accordo con la corona ed in pieno stile tories: adesso non rimane altro da fare che rispettare gli obiettivi.

Scozia e Irlanda

Dopo la straripante vittoria alle urne, lo spettro di una qualsiasi alleanza è sparito dalla mente dei conservatori meno fiduciosi. I principali sconfitti sono stati i rappresentati del NSP, partito indipendentista scozzese, che sperava in un accordo di coalizione per aiutare i conservatori ad uscire dall’Ue, con la Scozia fuori però dal Regno Unito. Il primo ministro scozzese, la signora Nicola Sturgeon, ha ribadito l’intenzione di voler indire un nuovo referendum tra i cittadini, ipotesi però fermamente respinta da Johnson. Mentre a livello parlamentare ciò non sembra impensierire il governo, il problema nasce sul piano sociale. Definendosi infatti un “leader popolare“, che credibilità avrebbe Johnson se perdesse l’appoggio proprio della popolazione scozzese, dove si è imposto come secondo partito? La questione è dunque destinata a tenere banco per tutta la legislatura conservatrice, dando più di un fastidio al rieletto primo ministro britannico. Il tutto, senza dimenticarsi di un’altra questione dormiente che interessa la Gran Bretagna: quella irlandese, cui stabilizzazione o degenerazione dipenderà dall’accordo raggiunto con Bruxelles. Elemento questo che forse però è stato sottovalutato dai deputati conservatori e potrà essere il colpo in canna dei falchi europei per ottenere delle condizioni di vantaggio rispetto a quanto ambito dalla compagine capitanata da Johnson.

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