Questa non è la prima volta che viene suonato il requiem sulla carriera politica di Boris Johnson, ma finora lui è sempre sopravvissuto egregiamente. Una volta tanto, ironizzano i britannici, i problemi del premier non arrivano per colpa di una donna, più o meno. Il nemico di turno, colui che rischia seriamente di compromettere la vita politica di BoJo, ha un volto familiare nel Regno Unito e il suo nome è noto: si tratta di Dominic Cummings, il suo più stretto ex consigliere. E siccome questa volta gli attacchi arrivano da un fuoco che, in passato, fu amico il rischio è che siano molto più insidiosi e compromettenti che mai.
Il metodo delle soffiate ai giornali: BoJo come Re Lear
Dopo l’esplosione della pandemia, che era riuscita a cancellare con un colpo di spugna l’euforia per il successo della Brexit, Boris Johnson, forte dei risultati della campagna vaccinale, stava vivendo una nuova epifania. Il Paese, stretto al suo fianco, aveva ritrovato il leader premiato alle urne del 2019, ma di nuovo non c’è stato tempo per godersi il calice del successo. A rovinargli la festa, un progressivo e incessante assedio a suon di indiscrezioni compromettenti filtrate ai media inglesi che ad ogni uscita stanno generando imbarazzo e caos a Downing Street.
La mano armata dalla voglia di vendetta finora ha colpito nel segno e dopo aver messo BoJo alle strette, lo ha spinto ad un rischioso contrattacco frontale. Infilando il piede nel “nido del calabrone” (the foot in the hornet’s nest) Boris Johnson, come Re Lear, ha riconosciuto nel traditore colui che fu il suo più fidato consigliere, colui che fu costretto alle dimissioni nel novembre del 2020 e che oggi è diventato il suo peggior nemico.
Boris Johnson è sotto attacco per la sua condotta
Nessuno si è mai stupito per la spregiudicatezza che ha sempre rappresentato la cifra personale e il carattere politico di Johnson, ma avere davanti agli occhi, una dietro l’altra, le presunte prove di atteggiamenti al limite del lecito e di azioni più simili ad un illecito, alla lunga potrebbe spostare l’opinione pubblica verso una condanna. Così Boris Johnson – Re Lear ha perso la testa.
L’ultimo atto della lunga scia di rivelazioni ai suoi danni, quella che ha fatto scoppiare la miccia, è stata la diffusione da parte di una giornalista della BBC di una chat privata scambiata da Johnson con l’imprenditore Sir James Dyson e risalente a marzo dello scorso anno. Nella conversazione Johnson prometteva al magnate un aggiustamento in materia fiscale (Dyson, dopo aver foraggiato la campagna per la Brexit, ha spostato la sua impresa a Singapore) in cambio della produzione di ventilatori polmonari.
Alla fine non se ne fece nulla, ma Johnson oggi si difende spiegando che, durante l’emergenza, chiunque avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di assicurare al Paese tutto il necessario per fronteggiare la pandemia. “Anche Tony Blair – l’ex leader Laburista – ha detto che avrebbe fatto lo stesso” ha ricordato Johnson.
Il problema però sta nel fatto che tutto è avvenuto in una conversazione via WhatsApp sul numero personale del Primo Ministro; derogando così a tutte le regole della politica e dei codici di comportamento delle istituzioni e per questo è stata predisposta un’indagine. Tra i frequentatori di Westminster e nello staff di BoJo è noto che quel cellulare – che non ha mai cambiato numero dai tempi in cui era sindaco di Londra – è un “luogo degli orrori”. Negli anni si sono sempre rivelati inutili tutti gli inviti a sbarazzarsene e a cambiarlo, quel numero. E forse sarebbe stato meglio ascoltare quel consiglio perché, sempre su quel cellulare, secondo il Daily Mail, un mese fa il principe saudita Mohammed Bin Salman, informava il premier della sua intenzione di rilevare il Newcastle United. In effetti Johnson chiese ad un suo consigliere di dare un’occhio alla faccenda; ma anche in quel caso non se ne fece nulla.
Di nuovo, quindi, rimane aperta la questione relativa all’appropriatezza del metodo e del mezzo utilizzato. Non è finita, perché le bordate continuano in un crescendo che ancora non accenna a fermarsi. Boris Johnson viene accusato di aver ricevuto una donazione di circa 60.000 Sterline da parte di un sostenitore dei Conservatori, soldi che sarebbero stati filtrati attraverso un nuovo “Downing Street Trust” e che sarebbero stati utilizzati per rinnovare l’appartamento in dotazione al Primo Ministro al civico 11. Una commissione, la “Electoral Commission”, è già al lavoro per far luce sulla vicenda mentre l’Ufficio di Gabinetto ha dichiarato che Boris Johnson avrebbe già pagato di tasca propria le spese di ristrutturazione aggiungendo alle 30.000 Sterline a disposizione dei nuovi inquilini di Downing Street, anche le 58.000 in oggetto.
L’inchiesta sulla gestione del Covid
Quella che molti già definiscono la soap opera di Westminster non finisce qui. Questa volta è il Telegraph a ricevere un’altra soffiata. Facciamo un passo indietro. Secondo indiscrezioni, lo scorso autunno, il primo ministro non avrebbe avuto la minima intenzione di fare un secondo lockdown nonostante fosse stato messo di fronte ad alcune evidenze scientifiche sulla necessità della misura restrittiva. A rafforzare questa teoria, la frase agghiacciante che avrebbe pronunciato in ottobre e che è stata passata al Daily Mail negli ultimi giorni: “lasciate pure che i corpi si ammucchino in migliaia”. Lui comunque non avrebbe chiuso il Paese un’altra volta.
Spinto un pò dal suo spirito libertario, ma soprattutto dal tentativo di salvare l’economia e confidando nell’efficacia della campagna vaccinale, Boris Johnson avrebbe tentennato prima di prendere quella decisione. A forzare la mano, invece, sarebbe stato un messaggio inviato al Telegraph dal suo Ufficio di Gabinetto e partito dopo l’incontro nel quale venivano discusse le misure da adottare. Nel testo si anticipava l’arrivo di un nuovo Lockdown che ancora non era stato stabilito, agendo così contro l’indecisione del premier e, secondo alcuni, mettendo a rischio la salute del Paese che per reazione avrebbe affollato pub e strade.
Inizialmente le accuse si concentrarono su Henry Newman, uomo dello staff di Johnson, molto amico dell’attuale fidanzata Carrie Symonds e proprio per proteggere questa relazione, BoJo ora viene anche accusato di aver cercato di insabbiare l’inchiesta relativa alla fuga di notizie dall’Ufficio di Gabinetto.
Eppure, oggi, secondo quanto riportato dal Times, i servizi di sicurezza inglesi, MI5, avrebbero dimostrato che nel momento in cui quel messaggio partì, in quella stanza c’erano solo: Boris Johnson, Dominic Cummings, un membro dello staff e altre tre persone. Newman non era presente mentre uno di quei sei avrebbe avuto in dotazione una doppia scheda telefonica. Naturalmente si tratta di Dominic Cummings.
Dominic Cummings e il nido del calabrone
Dopo aver tentato per un mese di resistere all’assedio, Boris Johnson ha deciso di passare al contrattacco sparando ad alzo zero verso colui che considera l’unico responsabile di tutti i casi di fuga di notizie che lo riguardano, ovvero, il suo ex braccio destro. Una guerra assai rischiosa quella ingaggiata dal Primo Ministro, perché chi lo ha affiancato tanto a lungo ha condiviso tutto, dalle strategie alle mosse più oscure e per questo è senza dubbio il custode di molti segreti.
Il consigliere più fidato, l’ideatore degli slogan “Get Brexit done” (Facciamo la Brexit) e “Take back control” (Riprendiamoci il controllo), uomo controverso, poco amato, schivo ma determinato e abituato alla guerra con ogni mezzo, adesso ha caricato i suoi cannoni contro colui che gli ha permesso di raggiungere i suoi obiettivi perché ormai non ha più niente da perdere. Cummings, uomo di retroguardia, stratega autoritario, era salito sul carro di Boris Johnson per sfruttarne il carisma, la sfrontatezza e la fortuna e realizzare così i suoi piani. Poi qualcosa tra di loro si è rotto.

Una volta raggiunto il potere e sotto l’influenza della fidanzata Carrie Symonds, il Primo Ministro ha capito che non poteva continuare a fare la guerra a tutto e tutti e doveva cambiare strategia. Il suo stile nella gestione del potere lo ha portato ad essere paragonato a Enrico VIII, Re Tudor, padrone del Palazzo, lunatico anche con i suoi più stretti consiglieri (non parliamo della mogli), tutti sacrificabili se necessario, compreso Cummings. E così è stato, nonostante tutto.
Lo scorso anno il consigliere venne sorpreso a violare le regole del Lockdown; Johnson inizialmente lo difese e lo tenne con sé ma le divergenze tra i due aumentavano, mentre cresceva progressivamente anche il potere di Carrie Symonds. Tra Cummings e la ex responsabile della Comunicazione dei Conservatori era diventata guerra aperta, ma nello scontro finale a spuntarla è stata lei ed alla fine del 2020 il consigliere ha rassegnato le sue dimissioni. Secondo alcune fonti citate dai quotidiani, l’ex stratega avrebbe covato la sua vendetta da allora, ma oggi, la crescente paura del risultato di alcune indagini, sulla sua condotta durante la campagna per la Brexit e nei mesi al fianco del primo ministro, l’avrebbero oltremodo fomentata.
Il redde rationem
Carico di rancore e di segreti pericolosissimi, Cummings lo scorso anno ha lasciato Downing Street con una scatola di cartone tra le braccia, ma prima di andarsene ha avuto tutto il tempo di fare copie e di raccogliere tutto il necessario per fare male, nel momento più opportuno. Quel momento è arrivato e i bersagli da colpire sono il governo, dal quale è stato cacciato e il partito dei Conservatori del quale non ha mai fatto parte. Cummings è sempre stato un feroce nemico dell’establishment ; lui voleva la Brexit, che ha ottenuto e una riforma radicale del sistema, che invece non ha portato a termine.
Per raccontare la guerra in corso, un commento sul Times ha addirittura paragonato l’ormai ex Team di Johnson, quello che dal 2016 lavorava all’uscita dall’Europa, ad una “famiglia”, in puro stile mafioso chiedendosi: “ma chi era il capo dei capi?”. Ecco, la ricerca di questa risposta sarebbe all’origine della spaccatura tra il Primo Ministro e il suo fedele consigliere.

La guerra ingaggiata da Cummings contro il suo ex sodale passa anche attraverso la vedetta perpetrata nei confronti della donna che è sempre stata il suo grande avversario e considerata l’artefice del suo allontanamento, Carrie Symonds. Da qui gli attacchi indiretti, come quelli rivolti all’amico della trentenne considerato il responsabile della diffusione di notizie riservate e poi quelli diretti a lei, accusata di aver preteso una lussuosa ristrutturazione dell’appartamento all’11 di Downing Street a qualunque prezzo. Una volta chiamato in causa da Johnson, che lo ha pubblicamente additato come l’unico responsabile della fuga di notizie riservate, l’attacco sferrato da Cummings ha preso voce in una lettera.
Mille parole per uscire allo scoperto; prima difendendosi poi contrattaccando. Nello scritto dove risponde ad ogni accusa, Johnson viene tacciato di comportamento “non etico, sconsiderato e probabilmente illegale” e viene accusato di avergli chiesto di affossare l’inchiesta sulla fuga di notizie che avrebbe rischiato di colpire l’amico della sua fidanzata, all’epoca primo sospettato. Il testo si conclude con un giudizio sul comportamento di Johnson definito ben al di sotto degli “standard di competenza ed integrità” che il Paese meriterebbe e con una promessa. Il 26 Maggio Cummings verrà ascoltato da una commissione parlamentare che indaga sulla gestione della pandemia da parte del governo e in quella occasione assicura che consegnerà tutto ciò che è in suo possesso.
Sarà questa l’ora della fine per BoJo
Oggi il governo Johnson gode di un consenso importante, i Conservatori si trovano 11 punti sopra i Laburisti (sondaggio Opinion Poll sulle intenzioni di voto del 21 Aprile). Forte del successo della campagna vaccinale, Johnson ha provato a derubricare la Soap Opera di Westminster ad una questione che poco importa alle persone. Eppure il continuo turn over all’interno del suo staff lo ha reso un leader sempre più isolato, rimasto senza i suoi storici collaboratori e con una parte importante del suo partito pronto a sbarazzarsi di lui quando i tempi saranno maturi.
I Conservatori hanno sempre mal digerito i modi dirompenti di una figura che però, anche grazie a questo, è riuscita a portare a casa la Brexit e una vittoria storica alle ultime elezioni. Di necessità virtù, il partito ha sempre sopportato Boris Johnson, nonostante tutto, finché serve. Ora però per molti detrattori questa sarà la battaglia finale. Sono sempre meno coloro che scommettono su un secondo mandato di Boris Johnson ma qualcuno già si domanda se mai riuscirà a finire quello in corso, perché in fondo, la politica ha le sue regole.