Recep Tayyip Erdogan è uno stratega. Un uomo che può dire tutto e il contrario di tutto. Che prima minaccia Vladimir Putin e Hassan Rouhani e poi cerca di trovare un accordo con loro per risolvere il conflitto siriano. Ma il Sultano è innanzitutto un abile politico, che sa toccare le corde più intime del Paese, stimolando il meglio e il peggio della popolazione turca. Grazie a queste sue doti è riuscito a trasformare situazioni sulla carta negative in positive. Prendiamo per esempio la questione migranti.

Tra il 2014 e il 2015 la guerra in Siria si fa sempre più intensa e più brutale. Nasce lo Stato islamico, che porta con sé morte e distruzione. Le battaglie tra il regime e i ribelli si fanno più cruente e la popolazione fa la cosa più scontata: scappa. In milioni si trasferiscono così nella vicina Turchia, per poi raggiungere l’Europa o via terra o tramite il mar Egeo. Una vera e propria onda umana travolge i confini, cercando di lasciare la violenza alle spalle. La Germania di Angela Merkel apre le porte mentre l’Ungheria di Viktor Orban alza i muri. Erdogan che fa? Il Sultano accoglie i migranti e, come fa da tempo il Marocco di Mohammed VI, li usa come una vera e propria arma politica da usare contro l’Europa.

Già, perché gli stessi Stati che pochi mesi prima avevano aperto le porte ai migranti si trovano sopraffatti. Non riescono più a gestire la crisi e le continue morti. Ed è a questo punto che Erdogan gioca la carta della minaccia. Dice che lui i migranti vorrebbe sì fermarli, ma non ha le forze per farlo. Per questo ha bisogno di più soldi. E l’Europa lo accontenta subito. Siamo a novembre del 2015, quando la Ue annuncia di voler versare al Sultano sei miliardi di euro. Tre subito e tre successivamente. Ma è solo l’inizio. Solamente poche settimane fa, Erdogan è tornato alla carica, dicendo: “Saremo costretti ad aprire le porte (verso l’Europa, ndr). Non possiamo essere costretti a gestire l’onere da soli”. Per poi proseguire affermando che Ankara “non ha ricevuto il sostegno necessario dal mondo, e soprattutto dall’Ue”. Erdogan, in questo modo, tornava a minacciare l’Europa per chiedere i 400 milioni rimanenti dell’accordo e chiedeva una safe zone in Siria per ricollocare i migranti.

Dietro questa accelerazione del Sultano c’è innanzitutto la necessità di riconquistare consensi. Le scorse elezioni per eleggere il candidato sindaco di Istanbul hanno infatti visto vincere Ekrem Imamoglu (opposizione) contro Binali Yildirim (Akp). Uno dei motivi per cui l’opposizione è riuscita a vincere è proprio l’emergenza immigrazione in quella che è la seconda città più importante della Turchia, dopo la capitale Ankara. Chi prende Istanbul prende la Turchia, dice un adagio politico. Erdogan questo lo sa. E non può fare altri errori. Per questo è pronto a una nuova operazione in Siria: il Nord del Paese è necessario per spostare almeno due dei 3.6 milioni di migranti.

Prima dell’operazione, il Reìs ha incassato l’ok dalla Casa bianca, che non può permettersi di perdere la base di Incirlik e, soprattutto, che non può tagliare i rapporti con un alleato sempre più affascinato da Mosca (vedi la questione S-400). E anche i russi sembrano comprendere le ragioni di Erdogan. In mezzo i curdi. Scaricati dopo aver versato sangue per un ideale – quello dell’autonomia – che si è rivelato inapplicabile.





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