Le elezioni presidenziali argentine, svoltesi domenica, sono destinate ad avere conseguenze sugli equilibri della regione latinoamericana. La vittoria del peronista Alberto Fernandez, schierato su posizioni progressiste, ha infatti suscitato il disappunto del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, su posizioni di destra radicale. Quest’ultimo ha parlato di Fernandez come di un “bandito rosso” ed ha affermato di non avere alcuna intenzione di chiamarlo per congratularsi con lui. Argentina e Brasile intrattengono, sin dagli anni ottanta, rapporti piuttosto cordiali ma la crisi economica che sta colpendo entrambi i Paesi potrebbe favorire l’emergere di nuove divergenze. Brasilia e Buenos Aires competono sul mercato mondiale del grano e della carne di manzo ma condividono l’appartenenza al Mercosur, il mercato comune dell’America Meridionale. E il presidente brasiliano ha minacciato di espellere l’Argentina dall’organizzazione, che quest’anno ha siglato un accordo di libero scambio con l’Unione Europea, qualora l’amministrazione di Buenos Aires mostri ostilità nei confronti di quella di Brasilia.
Divergenze (quasi) insanabili
I contrasti tra Jair Bolsonaro ed Alberto Fernandez si trascineranno, probabilmente, a lungo ed influenzeranno le relazioni tra i due Stati. La minaccia di espellere l’Argentina dal Mercosur, per quanto al momento sia solo una provocazione, avrebbe gravi ripercussioni sulla stabilità dell’area. Sembra difficile, inoltre, trovare un punto di mediazione tra i due leader: Fernandez, durante il suo discorso celebrativo per la vittoria appena conseguita, ha richiesto la liberazione dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, secondo lui ingiustamente detenuto e ciò ha suscitato la rabbia di Bolsonaro. Il Venezuela sarà, con tutta probabilità, un altro dei terreni di scontro tra le due amministrazioni: il prossimo Capo di Stato argentino, infatti, dovrebbe ritirare l’Argentina dal Gruppo di Lima, che non riconosce la legittimità del Presidente Maduro, di cui Bolsonaro è invece uno dei più grandi nemici.
Il futuro di Caracas continua a polarizzare l’America Latina ed a dividere la regione in due schieramenti, fortemente contrapposti dal punto di vista ideologico. Un’Argentina a guida peronista, inoltre, intensificherà i propri legami commerciali e politici con la Cina causando l’irritazione di Washington. Bolsonaro, malgrado l’irritazione manifestata per la vittoria del rivale politica, non potrà chiudere del tutto le porte a Buenos Aires ma è probabile che cerchi di sfruttare gli eventuali contrasti che nasceranno per fomentare la crescita della propria popolarità.
Le alleanze
Il trionfo peronista a Buenos Aires sembra così destinato a rimescolare le carte ed a rinforzare quel blocco di governi di sinistra che appariva, dopo la vittoria di Bolsonaro, sempre più in crisi. Il Messico, il Nicaragua, la Bolivia, Cuba, il Suriname, il Venezuela, l’Argentina ed anche l’Uruguay, in caso di riconferma nel ballottaggio delle presidenziali, fanno parte di quest’alleanza informale, che non ha particolari simpatie per Washington e che assume posizioni più sfumate nell’ambito della crisi venezuelana. Dall’altro lato della barricata ci sono invece Stati come il Brasile, la Colombia, il Paraguay, il Cile (anche se il presidente Pinera è sempre più in crisi), l’Honduras ed il Perù: queste nazioni hanno buone relazioni con la Casa Bianca e non riconoscono la legittimità dell’esecutivo Maduro ma piuttosto quella del suo oppositore Juan Guaido. Sembra difficile che questi due schieramenti possano coesistere senza che ciò generi periodici aumenti delle tensioni regionali e l’Argentina avrà tutta l’intenzione, malgrado i problemi economici che la affliggono, di provare ad assumere una posizione dirigente nell’ambito dell’alleanza progressista. Non passerà molto tempo, comunque, prima che la prossima crisi latinoamericana favorisca un’ulteriore polarizzazione tra i due blocchi e lo scontro, ovviamente diplomatico, potrebbe creare più di un grattacapo ai principali attori della regione.