A tre anni dall’inizio dell’ operazione Sophia, ufficialmente European Union Naval Force Mediterranean, il tema migranti continua a essere centrale nel dibattito politico italiano ed europeo. Il caso della nave Diciotti della Guardia Costiera e l’incapacità dell’Unione europea di rispondere alle richieste di aiuto del governo italiano, continuano a provocare frizioni in Italia ne in Europa. E si torna a parlare con insistenza di un blocco navale davanti alle coste della Libia.
L’idea del blocco navale circola ormai con insistenza in larga parte della politica e dell’elettorato italiano. Molti esponenti politici chiedono che esso venga effettuato il prima possibile. Per molti, è l’unica soluzione per risolvere definitivamente il problema dell’arrivo dei barconi che partono dalla Libia e che si dirigono verso l’Italia.
Ma è davvero possibile effettuare un blocco navale di fronte alla Libia? Innanzitutto bisogna capire cosa sia effettivamente un “blocco navale”. Come spiegato dall’ammiraglio Fabio Caffio nel suo Glossario di Diritto del mare, “Il blocco navale (naval blockade) è una classica misura di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante”. E già da questa definizione è facile capire che il blocco navale sia un concetto quantomeno rischioso nel caso di Italia e Libia.
Tripoli è un nostro partner, non un Paese belligerante. E questo incide profondamente sulle capacità di manovra del nostro governo, che rischia di mettere in atto un vero e proprio atto di guerra nei confronti di uno Stato con cui sta dialogando da anni.Senza l’assenso di Tripoli, quindi di Fayez al Sarraj, e delle Nazioni Unite, il blocco navale non potrebbe più essere considerato un’operazione di tutela dei propri confini, ma una sorta di dichiarazione di guerra.
E veniamo quindi al secondo punto: Sarraj può realmente accettare un accordo con l’Italia su un blocco navale? È evidente che un gesto simile sarebbe controproducente per un governo che è costantemente sotto pressioni interne e e che rischia di cadere da un momento all’altro. Possiamo credere che un governo che controlla a malapena Tripoli e che sta faticosamente mettendo in atto una politica di pacificazione interna, possa accettare che l’Italia (l’ex potenza coloniale) si imponga con le sue navi di fronte alle coste libiche?
Difficile. Si può provare a chiedere un accordo, ma il rischio di rompere i fragili equilibri dei rapporti fra Roma e Tripoli è molto alto. Ed è rischioso, soprattutto se vogliamo strappare definitivamente la Libia alle mani della Francia.
In questo delicato gioco di leadership sulla Libia, imporre adesso un blocco navale rischia di interrompere la strategia del governo di Giuseppe Conte, che sta rosicchiando terreno a Emmanuel Macron proprio sfruttando l’erosione del consenso libico verso i francesi. E lo sta facendo anche grazie ai rapporti che si stanno instaurando (faticosamente) non solo con Sarraj ma anche con Khalifa Haftar.
L’alternativa al blocco navale, che sembra invocato molto spesso senza avere ben chiaro cosa possa comportare, sarebbe passare alla fase Tre dell’operazione Sophia. La campagna navale promossa dall’Unione europea è infatti definita su quattro fasi ben distinti. E il passaggio dall’una all’altra deve essere definita da una risoluzione delle Nazioni unite e dal consenso dello Stato costiero interessato.
Come spiega il sito del ministero della Difesa, la fase Tre dell’operazione è quella “volta a neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra e quindi contribuire agli sforzi internazionali per scoraggiare gli stessi contrabbandieri nell’impegnarsi in ulteriori attività criminali”.
Questa terza fase sarebbe effettivamente l’unica in grado di cambiare radicalmente il quadro operativo della missione, perché consentirebbe ai Paesi coinvolti, e in particolare all’Italia – che detiene il Comando in mare della Task Force con la Nave San Marco, quale flagship dell’operazione – di entrare direttamente in acque territoriali libiche e a terra per colpire il traffico di migranti irregolari.
Ma è possibile credere che l’Onu e la Libia concordino con il passaggio a questa terza fase dell’operazione Eunavfor Med? Come visto sopra, è complicato. Soprattutto perché gli ultimi blocchi navali noti nell’area del Mediterraneo allargato sono quello di Israele su Gaza e quello della coalizione a guida saudita in Yemen. Non certo esempi utili per farlo accettare alle milizie libiche legate o alla Francia o al terrorismo islamico. Ma non è impossibile.
L’Italia dovrà puntare assolutamente su questo. Non parlare di blocco navale, ma di fase tre dell’operazione Sophia. In questo modo non solo non saremmo percepiti come potenza che interferisce nella sovranità della Libia, ma daremmo un quadro di legittimità giuridica e politica a un’operazione molto incisiva senza poterla tacciare di atto di guerra. Bisogna andare in punta di fioretto: solo così fermeremo il traffico di irregolari trattenendo comunque la Libia sotto la nostra leadership.