Gli Stati Uniti stanno attraversando una delle fasi più difficili della loro giovane storia. L’opinione pubblica è crescentemente divisa in opposti estremismi. Tra le comunità che popolano la multinazione aleggia un forte nervosismo interetnico. La società è bersagliata dalle operazioni cognitive e ibride di attori ostili, in primis Mosca e Pechino, che le stanno muovendo contro una nuova guerra dell’oppio.
La questione afroamericana, mai del tutto chiusa, gioca un ruolo centrale all’interno della grande crisi americana. Perché il persistere di antichi problemi, come la brutalità poliziesca e il razzismo istituzionale, ha fatto sì che le tensioni tra la White America e la Black America tornassero ai livelli degli anni Sessanta. E oggi come ieri a soffiare sul fuoco si trova Mosca, un tempo sostenitrice di Pantere Nere e parenti e oggi sponsor di Black Lives Matter.
BLM: rabbia genuina, radicalizzazione artificiale?
L’Agenzia di Ricerca sull’Internet, meglio nota come IRA (Internet Research Agency), è stata la principale regista e produttrice di operazioni cognitive della Russia. È stata, passato, perché la fattoria di troll e psico-guerrieri più importante di Mosca ha seguito le orme del suo fondatore, Evgenij Prigožin, chiudendo nel luglio 2023.
Negli anni di attività, sostanzialmente coincidenti col decennio 2013-23, l’Ira ha avuto un raggio d’azione globale, interferendo nei processi elettorali di decine di paesi, ma la predilezione per gli Stati Uniti è stata palese. Protagonista degli episodi di ingerenza elettorale del 2016 e del 2020, nonché nome ricorrente nei carteggi del cosiddetto Russiagate, l’Ira ha giocato un ruolo-chiave nel deterioramento delle relazioni interetniche e nella polarizzazione politica registrati dalla seconda parte dell’era Obama in avanti.
Facendo oro di una delle leggi fondamentali della guerra ibrida, “alimenta il malcontento”, l’Ira ha favorito l’ascesa nei social media globali di Black Lives Matter, l’erede livoroso e post-ideologico delle Pantere Nere, popolarizzandone i contenuti, comprando spazi per gli annunci su Facebook per promuoverne le battaglie, creando profili falsi per fare astroturfing e aprendo gruppi per diffondere bufale e verità ritoccate allo scopo di radicalizzare l’utenza. Obiettivo: riempire di rumore le camere d’eco della rete affinché quell’odio si propagasse nella società reale.
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L’Ira è stata capace di prodigi e prestigi nel periodo di massima concentrazione sugli Stati Uniti: troll in grado di incoraggiare i membri (reali) dei gruppi gestiti dall’ente a scendere in strada per protestare, contenuti manipolati visualizzati da milioni di utenti (reali), pilotaggio di incidenti tra nazionalisti neri e nazionalisti bianchi, traviamento e radicalizzazione di più comunità in simultanea.
Gli investimenti del Cremlino nello scoppio di un hobbesiano bellum omnium contra omnes non hanno creato nulla: il malessere era già lì, presente e preesistente, le operazioni cognitive dell’Ira lo hanno reso persistente, convertendo gli opposti in opposti estremismi.
L’Ira non condivideva la causa di Black Lives Matter: voleva strumentalizzarla per accentuare le divisioni interetniche e interpolitiche, seminando una violenza molecolare utile ai fini della manipolazione dei processi elettorali e dell’autoalimentazione. Un caso da manuale di destabilizzazione, che ha trascinato gli Stati Uniti in una sorta di quasi-guerra civile, come evidenziato dai disordini per George Floyd e dall’assalto al Campidoglio, erodendone l’immagine a livello internazionale e indebolendone l’unità e la coesione a livello interno.
La lunga love story tra Mosca e la Black America
Le radici dell’asse Mosca-Black America non affondano nell’epoca Obama e resisteranno all’erosione del tempo, con o senza Black Lives Matter, perché il sogno recondito di taluni ambienti dell’ultramontanismo russo è stato, e sempre sarà, quello di scatenare una guerra razziale negli Stati Uniti.
Oggi è l’Ira che getta benzina sul fuoco delle tensioni interetniche radicalizzando Black Lives Matter e i suoi detrattori, dai fondamentalisti evangelici ai suprematisti bianchi. Ieri era il Kgb impegnato a supportare l’eterogenea costellazione del nazionalismo nero, dalle Pantere Nere alla Nazione dell’Islam. L’altroieri, capitolo quasi dimenticato del libro sulla love story tra Mosca e Black America, erano la stampa sovietica coinvolta nella campagna internazionale di screditamento di Washington all’insegna dello slogan “E voi linciate i negri!” e il precursore del Kgb all’inseguimento di uno “stato afro-sovietico” nella Black belt del profondo Sud.
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Uno degli episodi meno noti, eppure più eclatanti, della bromance russo-afroamericana è sicuramente rappresentato dalla nebulosa operazione Pandora. Svelata al grande pubblico all’indomani della Guerra fredda, perché contenuta all’interno del celeberrimo archivio Mitrokhin, l’abortita operazione Pandora avrebbe dovuto gettare gli Stati Uniti nella guerra civile.
Gli analisti sovietici, dopo un’attenta disamina del contesto sociale a stelle e strisce, erano giunti alla conclusione che esistessero le condizioni per provocare dei gravi disordini interrazziali su scala nazionale, in particolare tra bianchi e neri, e che una campagna di terrore a base di attività sotto falsa bandiera (false flag) sarebbe stata sufficiente a innescare l’esplosione.
Le conclusioni degli analisti sovietici non poggiavano sul nulla, anzi. Erano gli anni Settanta, del terrorismo politico delle Pantere Nere, del boom demografico e mediatico della Nazione dell’Islam e dei sanguinosi e folli tentativi della Famiglia Manson di innescare l’Helter Skelter. L’aria negli Stati Uniti era effettivamente pesante e l’Unione Sovietica avrebbe voluto approfittarne, infiltrandosi nel movimento per l’emancipazione dei neri e nella rediviva galassia del nazionalismo bianco col duplice obiettivo di obbligare l’avversario (d)entro le mura domestiche e di delegittimarlo agli occhi del mondo.
Pandora, se concretata, avrebbe determinato un salto di qualità per le misure attive dirette contro gli Stati Uniti: dalla strumentalizzazione della questione afroamericana a scopo propagandistico alla capitalizzazione della Rabbia nera (Black Rage) per fini destabilizzativi. Nello specifico, secondo quanto rimasto di Pandora nell’archivio Mitrokhin, gli 007 sovietici avrebbero dovuto compiere degli attentati nei quartieri neri della Grande Mela, e probabilmente di altre metropoli, facendo ricadere la colpa su organizzazioni come il Ku Klux Klan e la Lega di Difesa Ebraica.
Il primo attentato avrebbe dovuto avere luogo nel 1971. Il Kgb aveva anche iniziato a produrre e a diffondere dei volantini per le vie newyorkesi denuncianti il presunto aumento degli attacchi contro i neri da parte dei cittadini – i membri del KKK – e degli estremisti ebraici. Era tutto pronto. Ma alla vigilia della false flag, per ragioni ignote, agli agenti di Pandora fu ordinato di ritirarsi. Forse perché Mosca temeva di essere scoperta, o di fare un buco nell’acqua, o forse perché i pragmatici ebbero la meglio sui falchi. Non è detto, infatti, che un’America in guerra civile avrebbe giovato alla pace mondiale.