Nell’Europa orientale vi è un Paese atipico, inclassificabile nelle categorie e nelle aggregazioni regionali in cui tendono a essere compattati gli Stati dell’area ex sovietica: la Bielorussia. Paese che a quasi trent’anni dall’indipendenza è in cerca di una vera identità e della ricerca di uno spazio d’azione per costruirsi un futuro autonomo. Andando oltre un legame carnale con la Russia che è destinato a rimanere fondamentale ma non a concretizzarsi in una fusione completa di cui a Minsk si è a lungo parlato ma mai ragionato concretamente.
La Bielorussia, guidata dallo spregiudicato Aleksandr Grigor’evič Lukašenko, il leader politico più longevo d’Europa (in sella dal 1994), è al centro delle attenzioni di Russia, Europa e Cina. Attualmente, circa il 51% del commercio del Paese avviene con Mosca e il 20% delle esportazioni consiste in derivati energetici russi, mentre dal Paese di Vladimir Putin proviene circa il 40% degli investimenti esteri. Ma tra Mosca e Minsk l’idillio conosce diverse fasi di inciampo. “Russia e Bielorussia litigano ciclicamente sul prezzo del gas, del petrolio o dei prodotti caseari: insomma, sui soldi”, fa notare Limes. “Dopo un periodo di quiete, e mentre l’economia bielorussa stava beneficiando di un nuovo aumento delle importazioni da parte russa – interscambio a 30 miliardi di dollari tra gennaio e agosto 2018 – lo scorso luglio la Duma russa ha completato la cosiddetta “manovra fiscale nel settore petrolifero”, il cui principale risultato sarà la graduale scomparsa della tasse del 30% sull’export di greggio e derivati”. Per la Bielorussia, che ha sempre importato esentasse il petrolio di Mosca per poi raffinarlo, questo significa un potenziale buco di bilancio di complessivi 11 miliardi di dollari dal 2019 al 2024.
Le proteste del governo Lukašenko hanno indotto il Cremlino ad alzare i livelli di guardia su un altro settore cruciale per l’export bielorusso, quello dei prodotti agroalimentari. Mosca accusa Minsk di lucrare sul sistema di sanzioni e controsanzioni tra Russia e Unione Europea, agendo da “camera di compensazione” per consentire l’ingresso in Russia di prodotti agroalimentari provenienti dai 28 Paesi comunitari. Per questo il Cremlino ha annunciato un embargo nei confronti di mele e pere provenienti dal piccolo Paese limitrofo.
La Bielorussia è crocevia strategico dell’Europa Orientale, e se da un lato la Russia, nonostante gli screzi, difficilmente vedrà uno Stato ad essa legatissimo per motivi storici e politici scivolare nel campo avversario per l’attrazione economica europea, dall’altro Mosca e Minsk necessitano di coordinare la loro cooperazione nell’ambito delle strutture internazionali che le vedono protagoniste. L’Unione Economica Euroasiatica e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (di cui Minsk è membro osservatore) sono forum di coordinamento importanti e prefigurano la prossima entrate nel Vecchio Continente della Nuova Via della Seta a trazione cinese. E sul lungo periodo potrebbe essere proprio la Cina l’attore esterno destinato a riequilibrare il rapporto russo-bielorusso fungendo da comune attrattore. A Minsk non aspettano altro che vedere i treni cinesi diretti a Occidente attraversare il Paese, rendendo la Bielorussia un perno della connettività euroasiatica grazie allo sviluppo infrastrutturale garantito dall’intervento di Pechino. Sempre più crocevia d’Europa, la Bielorussia è al centro di dinamiche di grande rilevanza, che trascendono la capacità d’azione stessa di un Paese che in fin dei conti ha bisogno, primariamente, di stabilità economica e politica.