Nella storia degli Stati Uniti, quasi tutte le elezioni presidenziali americane si sono giocate sul filo del rasoio, con il risultato finale che poteva essere deciso soltanto da quegli Stati da sempre considerati “indecisi” e in grado di fare da ago della bilancia della tornata elettorale. Tuttavia, col passare degli anni e con i cambiamenti demografici, alcune delle certezze con le quali gli americani sono stati abituati a convivere da un punto di vista politico si sono alterate e mai come in questo 2020 potrebbero diventare decisive.
Esattamente come accaduto nel 2016, quando la vittoria di Donald Trump venne stabilita dal successo della sua campagna nei confronti del ceto operaio, anche nella sfida tra il presidente uscente e Joe Biden potrebbe finire in una situazione analoga. E sia in caso di vittoria repubblicana che in caso di vittoria democratica, sarà interessante studiare come, nel segreto delle urne, si sono indirizzati i voti dei ceti sociali del popolo americano.
Nelle speranze democratiche e soprattutto sotto un punto di vista simbolico, però, ci sarebbe la possibilità di strappare ai repubblicani una delle sue roccaforti storiche: il Texas. In modo particolare, questa speranza sarebbe fondata sul cambiamento demografico della popolazione texana, sempre più composta dai cosiddetti “nuovi americani” e che negli ultimi anni si sarebbe spostata sempre di più verso sinistra. E come riportato dal quotidiano britannico The Guardian, infatti, l’entourage di Biden sarebbe convinto di avere le carte in regola per compiere questa impresa storica proprio contro uno dei presidenti che maggiormente dovrebbe rappresentare l’animo classico di un territorio di frontiera americano.
Tuttavia, sarebbe sbagliato cercare di giungere a delle conclusioni troppo affrettate, soprattutto considerando come, negli scorsi anni, nello Stato di Houston molto sovente i repubblicani abbiano dominato con dei risultati ancora migliori delle attese. Ultima volta, ironicamente, proprio nel 2016, quando la sfida per la Casa bianca aveva contrapposto Trump alla candidata democratica Hillary Clinton; e l’esito di questo confronto è stato ancora più vittorioso delle attese per la compagine repubblicana.
Sebbene infatti una parte della popolazione del Texas sia infatti affascinata dalle dottrine democratiche portate avanti da Biden soprattutto in relazione al confine con il Messico ed alla regolarizzazione dei migranti, la maggioranza dell’elettorato rimane ancora “purosangue texana”. E in questo scenario, dunque, difficile pensare che le avversioni dei democratici per la regolarizzazione dei flussi migratori possa sortire gli effetti sperati, se non proprio in quelle circoscrizioni dove la presenza di migranti è davvero elevata – ammesso, ma non scontato, che la maggioranza dei loro voti vada verso Biden e non verso Trump.
Ancora una volta, però, i democratici rischiano di commettere un clamoroso errore, identificabile nelle volontà di attaccare gli avversari sui loro territori più fedeli senza concentrarsi adeguatamente sulla difesa delle proprie roccaforti. Come accaduto nel 2016 con gli Stati bagnati dal lago Michigan, infatti, il pericolo è che la dialettica repubblicana riesca a convincere lo storico elettorato democratico, riuscendo al tempo stesso a reggere il colpo nello zoccolo duro degli Stati centrali. In questa situazione, dunque, il Partito democratico potrebbe trovarsi ancora una volta in notevole difficoltà, come evidenziato già negli scorsi mesi dal giornalista americano ed elettore democratico Michael Moore. E soprattutto, potrebbe perdere il posto al vertice della politica per il secondo mandato di fila, nonostante le proiezioni elettorali che sembrano averlo sin dall’inizio favorito.