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Martedì 28 settembre, durante un’audizione al senato degli Stati Uniti riguardante il precipitoso ritiro dall’Afghanistan, le più alte cariche militari statunitensi hanno contraddetto le dichiarazioni del loro comandante in capo, il presidente Joe Biden, sui piani dell’amministrazione per la smobilitazione delle truppe.

I generali statunitensi hanno confermato di aver raccomandato in modo unanime al presidente di mantenere una forza di almeno 2500 soldati in Afghanistan. Queste dichiarazioni contraddicono palesemente quanto affermato da Biden in un’intervista del 19 agosto alla Abc, ma anche uno dei pilastri centrali della pubblica difesa dell’amministrazione davanti al processo mediatico riguardante la “fuga” dal teatro afghano.

Il presidente statunitense aveva detto, rispondendo a una domanda del giornalista dell’Abc George Stephanopoulos che gli chiedeva se avesse ricevuto il consiglio di lasciare le truppe nel Paese, che nessuno gli aveva detto nulla. In particolare, quando Stephanopoulos gli chiede “ma i suoi migliori consiglieri militari l’hanno messo in guardia contro il ritiro su questa linea temporale. Volevano che lei mantenesse circa 2500 soldati”, Biden risponde “no, non l’hanno fatto. C’era divisione… Questo non era vero”. Il giornalista cerca di andare a fondo, chiedendo ancora se non gli avessero detto che volevano continuare a mantenere le truppe, ma il presidente nega ancora una volta, affermando che non ne hanno discusso e che “nessuno mi ha detto nulla che io possa ricordare”.

È, ovviamente, prerogativa del presidente degli Stati Uniti rifiutare quello che considera un cattivo consiglio, ma il problema è che ha negato di averlo ricevuto, contrariamente a quanto hanno testimoniato i generali Frank McKenzie, comandante dell’U.S. Centcom (il comando Usa per l’Asia e il Medio Oriente) e Mark Milley, capo di Stato maggiore della Difesa Usa. “Ho raccomandato di mantenere 2500 soldati in Afghanistan. E ho anche raccomandato all’inizio dell’autunno del 2020 di mantenerne 4500 in quel momento”, ha affermato il generale McKenzie.

La loro testimonianza equivale alla smentita pubblica definitiva delle affermazioni fatte da Biden e dal suo staff, che dalla caduta di Kabul a oggi si sono ritrovati a difendersi da un fuoco incrociato di critiche riguardanti la dissoluzione del governo afghano e delle Ansdf, le forze di sicurezza e difesa dell’Afghanistan sostenute e addestrate dagli Stati Uniti e dai loro alleati per un ventennio. La difesa ufficiale della Casa Bianca ha sempre affermato che nessuno si aspettava che i talebani potessero conquistare il potere in così breve tempo dopo il ritiro Usa, ma a quanto pare i generali hanno smentito la presidenza anche su questo punto. Durante l’audizione al senato Milley e McKenzie hanno anche ricordato che l’intelligence aveva previsto che i talebani avrebbero rapidamente conquistato il Paese.

Il 17 agosto, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan aveva rilasciato una dichiarazione che non smentiva, ma nemmeno confermava, i rapporti dei servizi segreti durante la conferenza stampa quotidiana della Casa Bianca. “Non ho effettivamente familiarità con le valutazioni dell’intelligence […]. Ma non voglio nemmeno entrare in argomento riguardo rapporti di intelligence specifici. E una cosa che non farò da questo podio o da nessun’altra parte è parlare di ciò che ha fatto, o non ha fatto, un diverso componente dell’intera agenzia (di informazioni n.d.r.)” aveva affermato Sullivan.

Ma la testimonianza dei generali alla commissione per i servizi armati del senato fornisce ulteriori prove del fatto che il presidente è stato informato che, come risultato della sua decisione di ritiro totale, i talebani avrebbero occupato l’Afghanistan rapidamente.

Il generale McKenzie ha anche confermato che era presente quando il generale Scott Miller, che ha servito come comandante in capo delle forze Usa in Afghanistan fino allo scorso luglio, aveva fatto la stessa raccomandazione al presidente.

L’amministrazione, però, dopo le dichiarazioni del 19 agosto ha fatto “quadrato” negando che alcun tipo di rapporto, informativa o altro fosse giunto sul tavolo presidenziale: “Niente che io o nessun altro abbiamo visto indicava un crollo del governo e delle forze di sicurezza in undici giorni”, aveva detto il segretario di Stato Antony Blinken al Congresso Usa ancora qualche giorno fa.

Non sappiamo se il presidente statunitense abbia consapevolmente mentito a Stephanopoulos, oppure si sia semplicemente dimenticato di raccomandazioni e informative, anche se ci risulta difficile pensare che rapporti di intelligence, che vengono letti dallo staff presidenziale, finiscano nel dimenticatoio, però quanto accaduto al Senato dimostra ancora una volta il conflitto interno tra la politica e i militari negli Stati Uniti.

Qualche giorno fa è esploso uno scandalo riguardante proprio il generale Milley, che durante l’amministrazione Trump, aveva contattato il suo omologo cinese esautorando le prerogative presidenziali al limite del tradimento. Nel libro scritto da Bob Woodward del Washington Post, viene affermato che, negli ultimi mesi dell’amministrazione Trump, Milley assunse l’iniziativa di contattare direttamente il capo delle Forze armate cinesi per ben due volte rassicurandolo che in nessun caso gli Stati Uniti avrebbero assunto iniziative militari, in particolare usando il proprio arsenale atomico: la prima il 30 ottobre 2020, e la seconda lo scorso 8 gennaio, due giorni dopo l’assalto di sostenitori di Trump al Congresso.

Un evento senza precedenti che svela come gli Stati Uniti abbiano un problema importante legato all’ingerenza dei militari nelle decisioni politiche, evidenziato ancora una volta dal comportamento di tutti gli attori di quest’ultimo scandalo che rischia di minare ancora di più la credibilità del presidente Biden, ma soprattutto pone inquietanti interrogativi sul ruolo dei militari negli Stati Uniti e sul controllo che ne hanno gli organi democratici.