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ll G20 di Bali rappresenta un passaggio centrale per il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Per il capo della Casa Bianca, l’incontro nel sud-est asiatico si caratterizza infatti come una sorta di “recap” generale della propria diplomazia dopo essere sopravvissuto alle elezioni di metà mandato. Un voto che non è stato particolarmente traumatico per l’amministrazione democratica e da cui prova a ripartire catapultandosi di nuovo su quelli che sono i dossier più difficili della propria politica estera: il rapporto con la Cina e quello con la Russia. Nel mezzo anche due incontri importanti per l’agenda europea, il bilaterale con le due novità del panorama politico del Vecchio Continente: il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, il primo ministro britannico Rishi Sunak. Gli incontri, confermati dal consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca, Jake Sullivan, ribadiscono la volontà di Biden di blindare i rapporti con gli alleati europei in vista delle due partiti più importanti.

Verso l’incontro con Xi

Sul primo punto, l’incontro tra Biden e il presidente cinese Xi Jinping è certamente l’evento più atteso del vertice indonesiano. Il leader Usa giunge a questo incontro con l’omologo cinese dopo le tensioni per Taiwan e dopo che il nuovo documento strategico diramato dall’amministrazione democratica definisce la Cina la vera minaccia sistemica del Paese. Biden ha detto di essere fiducioso per questo vertice al punto da essere sicuro che “sarà produttivo”. Ma l’impressione è che i rapporti tra Pechino e Washington siano a un livello per cui è difficile giungere a un compromesso che possa considerarsi vincente per entrambe le parti. Se dal punto di vista diplomatico è molto probabile che entrambi i leader mostreranno il desiderio di evitare fratture insanabili, è altrettanto vero che dal punto di vista strategico i due colossi divisi dal Pacifico hanno una serie di dossier in cui, senza tema di smentita, si considerano definitivamente avversari e con visioni diametralmente opposte.

La questione di Taiwan, per esempio, è del tutto evidente che non possa trovare soluzione nel prossimo futuro: Biden ha già dichiarato di non avere cambiato alcuna idea sullo status dell’isola, Xi arriva a questo vertice dopo la rielezione a guida della Cina e promettendo al Congresso del Partito comunista di porre rimedio a quello che considera il punto centrale della sua politica estera. Il fatto che il governo cinese abbia già chiesto a quello statunitense di non rendere partecipe Taiwan di quanto avviene nel bilaterale è indicativo della difficoltà di mettersi al tavolo partendo da reciproci sospetti e da due punti di vista opposti.

Il nodo della Corea del Nord

E anche per quanto riguarda la Corea del Nord, altro punto caldo del fronte asiatico, per quanto Pechino e Washington siano entrambe concordi sull’evitare escalation risulta difficile, in questa fase, che i due governi trovino una formula che riesca a limitare le mosse di Pyongyang e nello stesso tempo a evitare ulteriori frizioni tra Stati Uniti e Cina. Se a questo si aggiunge il fatto che la Difesa Usa e quella cinese si considerano rispettivamente nemici strategici l’uno dell’altra, specialmente nel fronte dell’Indo-Pacifico, risulta complesso che il vertice di Bali possa portare a risultati concreti in una prospettiva di pacificazione delle relazioni tra Washington e Pechino, tanto più se in questo rapporto si innesta anche il tema della guerra in Ucraina.

A questo proposito, la Russia e Vladimir Putin saranno i convitati di pietra dell’incontro di Bali e sostanzialmente della stessa azione della diplomazia americana. Sul punto, il portavoce Dmitrij Peskov è apparso categorico: il capo del Cremlino non intende partecipare in videoconferenza né al summit di Bali né a quello della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec). L’impressione è che Mosca e Washington in questo momento non vogliano avere incontri pubblici né bilaterali pur parlando di possibili negoziati sul fronte ucraino. La Casa Bianca ha negato anche che al momento ci sia in programma un incontro con il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, inviato a Bali al posto dello “zar”. E l’assenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, anche questa giustificata da “impegni interni” al pari di Putin, certifica che a Bali non ci sarà alcun tipo di sviluppo diplomatico sul fronte dell’invasione russa.

Del resto, anche gli stessi Stati Uniti non appaiono al momento certi sul da farsi. La rivelazione fatta trapelare dal New York Times sulle divisioni interne all’amministrazione Biden indicano che Washington in questo momento è incerta. Tra chi ritiene sia il momento di premere su Kiev per trattare con Mosca (sarebbe il capoto di Stato maggiore congiunto Mark Milley) e chi invece ritiene imprescindibile continuare la controffensiva perché una pausa darebbe un vantaggio ai russi, è plausibile che la Casa Bianca non abbia una linea chiara. Impossibile giungere a un’intesa senza che gli Stati Uniti abbiano una prospettiva definita e una cosiddetta “road map” definita. E Bali, in assenza anche dei protagonisti, parte già con un handicap.

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