L‘Olanda è, tra quelle andate al voto durante la giornata di ieri, una delle nazioni meglio integrate nell’Unione europea. Nei Paesi bassi, in realtà, le elezioni hanno avuto luogo qualche giorno prima, ma è un particolare di poco conto: Frans Timmermans, che è – forse adesso sarebbe meglio dire “era” – il candidato socialista alla presidenza della Commissione europea, è arrivato primo, con il suo partito laburista, davanti ai popolari di Mark Rutte, che invece è il primo ministro in carica, e ai sovranisti – populisti, tanto a quelli Thierry Baudet quanto a quelli di Geert Wilders.
Questi erano i protagonisti annunciati, ma solo tre su quattro possono dire di essere sopravvissuti a questa turnata elettorale. L’ultimo – come si apprende sull’Agi – non ha ottenuto neppure un seggio all’europarlamento di Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles. Il Partito della Libertà, che era balzato alle cronache durante le passate elezioni politiche olandesi, è sostanzialmente scomparso dai radar: 4,1%. Thierry Baudet, che invece veniva dato come vincente dalle rilevazioni pre-elettorali, può dirsi soddisfatto solo per un’operazione riuscita: aver ottenuto i consensi che in passato erano stati consegnati dagli olandesi a Wilders. Per il resto, il suo è un parziale insuccesso: il Forum per la Democrazia ha preso solo l’11%. Basta questo dato a sottolineare come l’europeismo sia ancora l’ideologia vincente dalle parti di Amsterdam. Il sovranismo, come si usa dire in circostanze di questo tipo, tiene ma non sfonda.
Frans Tiemmermans, però, non deve solo fare i conti con quanto successo in casa sua. È lo scenario complessivo quello che gli interessa: “Noi – ha ammesso il leader socialdemocratico, come si legge sulla Sir – abbiamo perso e quindi dobbiamo essere umili, chiari sul programma futuro, onesti con le persone”. Un virgolettato che va interpretato alla luce di un crollo generale, quello dell’eurogruppo parlamentare che intendeva rappresentare nell’esecutivo del Vecchio continente.
In Belgio, invece, è possibile annotare qualche sorpresa in più. La nazione in questione si è tecnicamente frazionato in due: da una parte, cioè nelle Fiandre, hanno trionfato la destra e il centrodestra, con Vlaams Belang e quella che in italiano chiamiamo Nuova alleanza fiamminga a rubare le scene a tutti le altre formazioni partitiche, dall’altra, cioè nella Vallonia, hanno prevalso gli ambientalisti e la sinistra massimalista. Un belga di spicco, però, è Guy Verhofstadt, che si è affrettato a spiegare – come si legge sull’agenzia citata – come l’Unione europea, nonostante tutto, sia ancora viva e vegeta. Belgio e Olanda, a ben vedere, esprimono soprattutto due dei possibili leader dell’Europa che verrà.
Niente di nuovo nel Lussemburgo di Juncker: le prime tre piazze del podio sono occupate rispettivamente dai democratici, dai cristiano popolari e dai verdi.