Da settimane in Francia, ma anche nel resto dell’Europa dell’ovest, è scoppiata nuovamente la questione etnica. La banlieue parigina, ad esempio, la periferia della capitale francese, rischia di ergersi socialmente a microcosmo, a simbolo mediatico di una questione molto più profonda ed estesa di quel che si possa immaginare. Una lunga escalation di eventi rivoltosi nelle periferie francesi, del resto, simboleggiano sì la presenza di una dirompente questione sociale, ma anche una problematica legata alle motivazioni. Questi episodi, infatti, spesso provocati da immigrati di seconda e terza generazione, presentano sempre più raramente dei veri e propri moventi alla base. La stessa etimologia della parola, peraltro, “banlieue” , evidenzia un carattere distintivo rispetto tutto ciò che comunemente inteso come socialmente accettabile. “Ban” significa “bandire” e “lieue” vuol dire “luogo”. Chi abita in questeperiferie è sin dall’etimologia, dunque, escluso dalla Francia. Legittimato a sentirsi in diritto, dunque, di compiere atti non consentiti a qualunque logica sociale. Questi rivoltosi- si legge in questo pezzo– spesso protagonisti anche delle rivolte delle banlieue “sono degli aggressori che non giustificano neanche più le loro violenze con la scusa della protesta. E ancora : “Le sommosse e le aggressioni sono praticamente gratuite e incessanti. La guerriglia è cominciata, prima fase della guerra. Annuncia l’incendio devastante che si prepara e che forse sarà salvifico”. La sensazione, in fin dei conti, è che ci si trovi dinanzi ad un pericolosissimo cocktail agitato sì dalla questione sociale, ma anche dal diffondersi della microcriminalità e dalla propaganda jihadista. Il tema dell’ “entranger” spesso calvacato da Marine Le Pen trova terreno fertile dentro un quadro sociale che mischia queste componenti , diversificate, certo, ma spesso concatenate. Questi atti insensati e mossi da motivazioni poco ascrivibili ad una questione meramente sociale, se non altro, si moltiplicano di giorno in giorno. Si pensi all’attacco scagliato per mezzo di un machete da parte di un egiziano, Abdullah Reda al-Hamamy, ai militari del primo RCP (Régiment Chasseurs Parachutistes- di stanza a Paumiers, Ariège-) in pattuglia al Carrousel del Louvre, al grido di Allah Akbar. Era il 3 febbraio 2017. Oppure quanto accaduto nella notte tra il 14 ed il 15 Gennaio 2017, quando sette giovani di origine africana, tutti hanno messo a fuoco il quartiere di Juvisy-sur-Orge, nel’ Essonne. Erano armati di sciabole, seghe, machete e martelli. Si pensi, inoltre, al caso del 25 e 26 gennaio 2017, presso Compiègne, in una città non abituata a dover affrontare situazioni di questo genere, è avvenuto un vero e proprio combattimento per strada riguardante una guerra da bande per il traffico di droga o a quando, sempre il 26 di gennaio, a Corbeil-Essonne, venne ferito un poliziotti in una situazione similare. Se il caso Thèo ha fatto scalpore per dinamica e protagonisti, notizie meno pressanti sui media avvolgono la Francia in una nube di terrore quotidiano. L’elenco degli episodi sarebbe lunghissimo e questi sono solo pochi esempi riportati per filo e per segno qui. Qualunque sia l’esito delle elezioni francesi, il primo punto sull’agenda del prossimo presidente dovrà per necessità di cose essere questo: risolvere l’enorme spaccatura che l’assimilazionismo francese e le scelte distributive delle popolazioni provenienti dalle colonie hanno prodotto. Alcune realtà si sono rivelate più strutturate ed integrate delle altre, come a Neuilly-sur-Seine, a ovest di Parigi, dove si è soliti accorgersi di essere dentro un’isola felice tra le banlieue francesi: macchine costose, professionisti, gioventù edulcorata. Per ogni Neuilly-sur-Seine, però, ci sono cento Aubervilliers, periferia ghettizzata a nord-est di Parigi, dove regna quotidianamente la criminalità. Nelle moschee delle banlieue, infine, crescono e si formano le cause della jihad dentro il nostro continente. Si pensi a Cherif ed alla prontezza con la quale uomini come lui si dicono disposti incontro al martirio. Le banlieue non sono solo il risultato del fallimentare progetto del Ps di costruirsi dei bacini elettorali periferici, sono una bomba sociale, animati da una guerriglia permanente pronta ad esplodere in una vera e propria guerra urbana tra i centri finanziarizzati e le periferie degradate. Pensare la questione solo come direttamente conseguenziale ad un disarmo sociale, però, sarebbe riduttivo: le banlieue, come tutti i luoghi di povertà e ricerca disperata di un’identità esistenziale, attraggono la jihad come nessun altro posto in Europa. Chiunque vinca le elezioni francesi dovrà tenerlo presente. Per la Francia, ma non solo.
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