Nonostante l’Isis sia in seria difficoltà in Siria, Iraq e Libia, a causa delle relative offensive in atto per debellare lo “Stato Islamico”, il supporto ai jihadisti proveniente dai Balcani continua ad assumere toni preoccupanti.Per approfondire: Il pericolo jihad nei BalcaniLa scorsa settimana la polizia kosovara ha fermato all’aeroporto “Adem Jashari” di Pristina un diciassettenne di Gjilan, Lirim Robelli, in procinto di imbarcarsi su un volo per Istanbul con destinazione finale la Siria.La cosa ancor più inquietante sta nel fatto che il giovane era in possesso di un passaporto autentico, rilasciato dall’Ufficio del Registro Civile del Ministero degli Affari Interni di Gjilan, ma con identità e data di nascita false.Il 12 agosto scorso, nel quartiere Aksaraj a Istanbul, la polizia turca ha arrestato cinque macedoni di etnia albanese, anche loro in procinto di andare in Siria a combattere il jihad.Due di loro, rispettivamente di 21 e 24 anni, provenienti da Kumanovo, avevano raggiunto la Turchia in bus passando per la Bulgaria, nel mese di luglio. Gli altri tre, (uno dei quali proveniente da Kumanovo e due da Skopje) sono invece passati, sempre in bus, per il confine di Bogorodica, entrando in Grecia e da lì in Turchia.Lo scorso 17 agosto a Valona un cittadino kosovaro, Dijar Xhema, originario di Mitrovica, aveva aggredito, ferito e tentato di sequestrare alcuni passanti al grido “Allahu Akbar”, prima di essere arrestato ed internato in un istituto per valutarne la condizione psichica.L’episodio veniva da subito trattato dalle autorità albanesi come terrorismo e tra l’altro Xhema era già noto alle autorità kosovare per tentato omicidio e sequestro di persona, atti violenti e detenzione illecita di armi da fuoco.Successivamente il verdetto della corte ha stabilito che si tratta soltanto di un malato di mente e non di un terrorista, ordinando un immediato trattamento con farmaci.I dubbi comunque restano, visto che non è la prima volta che un sospettato di terrorismo viene indicato come “caso isolato” e come “pazzo”. Xhema voleva mettere in atto in sequestro? Con quale fine? Che tipo di minacce avrebbe lanciato ai passanti? Ci troviamo davanti al caso isolato di un delinquente recidivo che nel momento di commettere il reato ha “farcito” il tutto con invocazioni jihadiste? Si è trattata di emulazione fine a sé stessa, magari in preda a uno stato di delirio? Oppure il soggetto ha avuto qualche contatto con ambienti radicali e ha deciso di attivarsi da solo, secondo le proprie possibilità ma plausibilmente con scarsa pianificazione? Questi sono tutti punti che andrebbero chiariti a prescindere.Il Kosovo e la MacedoniaKosovo e Macedonia continuano intanto a suscitare preoccupazione per quanto riguarda la penetrazione islamista e jihadista.In primis vale la pena ricordare le statistiche recentemente evidenziate dal Kosovo Center for Security Studies, secondo il quale sarebbe proprio il Kosovo ad aver fornito il maggior numero di jihadisti in rapporto alla popolazione (tra i 22 paesi citati): “Il Kosovo ha 125 foreign fighters per capita per ogni milione di abitanti…seguito da Bosnia (85), Belgio (42), Albania (30) per milione di abitanti”.Soltanto da Kaçanik, una delle cittadine con il più alto tasso di radicalizzazione e che conta 30.000 abitanti, sono partiti 24 jihadisti, tra cui il “macellaio” Lavdrim Muhaxheri, a capo di una brigata balcanica dell’Isis in Siria.Campi di addestramentoVi è poi il problema legato ai “campi di addestramento” come il “Kampet e Zeza” segnalato da alcuni media albanesi o come quello individuato nel 2012 sulle montagne nei pressi di Rastelica, entrambi definiti dalle autorità kosovare come “campeggi islamici” dove non sarebbero state trovate armi.In un’intervista di giugno 2016 è stato lo stesso sindaco di Kaçanik, Besim Ilazi, a illustrare come nelle boscaglie appena fuori della cittadina sono presenti luoghi di ritrovo dei jihadisti, con tanto di guardie armate che precludono l’accesso ai non autorizzati.Alla fine di luglio emergevano poi ulteriori informazioni, tutt’ora da confermare, sulla possibile presenza di altri “campeggi islamisti” nelle zone di Ferizaj, Gjakovë, Deçan, Prizren e Pejë. Tutte aree già interessate da raid anti-terrorismo a partire dall’agosto 2014 quando scattò quasi in contemporanea l’operazione “Damasco” in Italia e Bosnia.Per approfondire: La porta d’ingresso dell’islamIn Macedonia ciò che preoccupa è invece l’attività e l’eredità di predicatori radicali come Shukri Aliu e Rexhep Memishi, di origine kosovara, abili nel radicalizzare i musulmani macedoni di etnia albanese, in particolare nelle zone di Skopje, Kumanovo e Tetovo. Entrambi i predicatori sono oggi in detenzione.banner_occhi_articoloLo scorso dicembre le autorità macedoni avevano enfatizzato il rischio di possibili rientri di jihadisti connazionali provenienti dal fronte siriano, aggiungendo che la crisi dei profughi non faceva che peggiorare la situazione, incrementando i rischi di infiltrazione.Il presidente Gjorge Ivanov era stato chiarissimo: “Abbiamo una minaccia interna legata all’Islam radicale e stiamo spendendo tutte le nostre risorse per i migranti invece di occuparci delle minacce alla sicurezza, agendo preventivamente”.Sono circa 120 i jihadisti macedoni partiti per arruolarsi nell’Isis, una settantina dei quali sarebbero rientrati in patria. Non pochi, considerando che la Macedonia conta una popolazione di 2,1 milioni di cui solo un quarto è di religione islamica.La ricomparsa di Lavdrim MuhaxheriA metà agosto 2016 Lavdrim Muhaxheri, a capo di un battaglione balcanico dell’Isis, ricompariva in una foto pubblicata poche ore prima dai suoi seguaci.Noto per alcune riprese dove compare con coltelli insanguinati dopo aver decapitato le proprie vittime, Muhaxheri in precedenza ha lavorato come dipendente presso la base americana della Kfor di Bondsteel, in Kosovo e per la Nato in Afghanistan. A Ramadan del 2013 aveva anche partecipato alle attività della Bik (Comunità Islamica del Kosovo) a Kaçanik (per approfondire, “La Spirale Balcanica” di Giovanni Giacalone).Muhaxheri, ora noto come “Abu Abdullah al-Kosovo”, nell’ultima foto resa pubblica appare con un fucile AK-47 al suo fianco e con una kefiya in stile saudita in testa. Una comparsa che ha attirato l’attenzione degli analisti, visto che potrebbe significare una sua ascesa nei ranghi dell’Isis in seguito all’uccisione di alcuni alti comandanti. E’ plausibile credere che il radicalismo balcanico stia diventando di primaria importanza all’interno dell’Isis?L’episodio si può inoltre ricollegare al fatto che, nonostante le gravi sconfitte subite dall’Isis e la chiamata ad attacchi in Europa fatta poco prima di Ramadan dal defunto al-Adnani, ex portavoce dell’Isis, dai Balcani ci sono ancora volontari che partono per andare ad arruolarsi.In conclusioneL’area balcanica occidentale è oggi luogo dove l’Islam radicale continua a fare proseliti, grazie ai finanziamenti provenienti dall’Arabia Saudita, in particolare nel caso della Bosnia dove sono in aumento le moschee all’interno delle quali viene predicato il wahhabismo, in palese opposizione all’Islam tradizionale autoctono, prevalentemente etnico-nazionale e con forte influenza sufi.Altro problema della Bosnia è poi quello legato ai confini con la Croazia, con frequenti segnalazioni di scarso presidio da parte delle autorità e dunque di facile ingresso in UE.In Kosovo e in alcune zone dell’Albania (tra cui Elbasan, Cerrik, Librazhd, Kavaja…) sorgono con frequenza piccole moschee di stampo wahhabita e salafita, tanto che recentemente la comunità islamica ufficiale d’Albania, la KMSH, ha chiesto ausilio alle istituzioni nell’arginare le “moschee parallele”.I Balcani non sono soltanto un luogo di radicalizzazione, ma anche di partenza dei jihadisti verso la Siria e di ritorno. Il rischio è dunque evidente, da quest’area potrebbero partire eventuali terroristi con lo scopo di compiere attacchi in Europa e non è detto che siano per forza degli ex foreign fighters; anzi, forse sarebbe strategicamente sensato anche inviare elementi radicalizzati nell’area balcanica e che non hanno combattuto in Siria, dunque potenzialmente più difficili da individuare.

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