Man mano che si avvicina la data delle prossime elezioni parlamentari in Ungheria, fissate per il 3 aprile, il sentimento popolare diventa sempre più sinusoidale. A conferma che la tornata elettorale sarà particolarmente delicata, e che gli oppositori di Viktor Orbán, primo ministro dal 2010, hanno davvero discrete chance di vittoria.

Il leader della larga coalizione che si oppone al premier, il 49enne Péter Márki-Zay, ha da settimane il vento in poppa, e da quando venne eletto sindaco della piccola città di Hódmezővásárhely, (meno di 45mila abitanti) si è ritagliato giorno dopo giorno il ruolo di anti-Orbán, una sorta di aura mistica nata intorno a lui poiché era riuscito a diventare primo cittadino da indipendente (ormai quasi 4 anni fa) in una città che gli esponenti di Fidesz guidavano ininterrottamente dal 1990.

Il piano elettorale di Márki-Zay è semplice: cavalcare, anziché smorzare, la retorica del voto come referendum intorno alla figura di Orbán. Polarizzando più possibile l’opinione pubblica, Márki-Zay punta ad aggirare le criticità che stanno emergendo inevitabilmente in un fronte politico apparentemente incompatibile, composto tanto dai socialdemocratici di Coalizione Democratica quanto dai socialisti di MSZP, quanto ancora dai liberali di Movimento Momentum e dai Verdi ungheresi, fino a Jobbik, descritto da Human Rights First nel 2015 come un “partito estremista virulentemente antisemita e antirom”.

Uno schieramento davvero insolito, un tutti contro Orbán capeggiato da un leader comunque di formazione cattolica-conservatrice, trasversale nei consensi ma esposto a un rischio enorme: andare in frantumi nell’esatto momento in cui dovrà iniziare a parlare di contenuti. Per questo, e soprattutto perché il 3 aprile si voterà in Ungheria anche per il referendum sulla legge che vieta la “propaganda LGBT” tra i minori (con la Commissione europea che ha già avviato a suo tempo una procedura di infrazione), la grande opposizione vuole fare in modo che si parli solo di Orbán e del dissenso che intorno a lui inizia a serpeggiare in Ungheria negli ultimi anni.

Ma Márki-Zay non è invulnerabile, e soprattutto gli esponenti di Fidesz sanno come evitare di fare il gioco di un politico non così navigato da riuscire a far ombra al premier magiaro. Già accusato di avere un approccio troppo accomodante e di non aver ancora avviato una vera campagna di opposizione da parte dei suoi stessi alleati, contro Márki-Zay, per ironia della sorte, si sono scatenate anche alcune delle critiche che di norma vengono rivolte al flagello dei burocrati di Bruxelles. Approfittando di un paio di scivoloni maldestri di Márki-Zay, infatti, Fidesz è di nuovo avanti nei sondaggi, con le ultime previsioni che danno il partito di Orbán al 49%, davanti all’Opposizione Unita al 45%.

Una delle bucce di banana calpestate da Márki-Zay riguarda la pandemia e il suo effetto sulla composizione dell’elettorato. Nel suo video di Capodanno, il candidato dell’opposizione aveva detto che Fidesz potrà contare su meno elettori di quattro anni fa, ipotizzando sia che i giovani si siano allontanati da Orbán sia che il Covid abbia “decimato gli ungheresi anziani che erano più propensi a votare Fidesz“. Una tesi cinica (oltre che tutta da dimostrare visto che molti over 70 votano anche per i socialdemocratici) che non è piaciuta praticamente a nessuno.

E ancora, questa sua sorta di conservatorismo sociale, con cui cerca di contrastare Fidesz dal punto di vista della narrazione, del linguaggio e del target elettorale (l’Ungheria rurale), ha scatenato gravi accuse di razzismo e di antisemitismo, particolarmente pesanti. In un articolo recentemente pubblicato sul Times of Israel da László Bernát Veszprémy, viene citato il sostegno aperto da parte politici presumibilmente antisemiti a Márki-Zay. E per cercare di negare le accuse, il candidato premier ha peggiorato le cose quando ha osservato che rispetta le origini etniche e l’orientamento sessuale di tutti, ma ha detto letteralmente: “Ci sono alcuni ebrei nel partito Fidesz, solo pochi però”. Márki-Zay ha poi chiamato Veszprémy “un bugiardo di Fidesz” gettando benzina sul fuoco in un clima che ha portato il reporter e la sua famiglia ad essere pesantemente minacciati sui social.

Frasi che hanno scatenato forti reazioni sia delle comunità ebraiche che di intellettuali, politici e osservatori di sinistra. Gli stessi ambienti progressisti, poi, non possono fare a meno di constatare che l’astio nei confronti di Orbán e della sua volontà di limitare la diffusione dell'”ideologia LGBT” faccia il paio con le posizioni ad esempio fortemente contrarie ai matrimoni gay dello stesso Márki-Zay.

Infine, curioso che Márki-Zay e in generale tutta l’opposizione unita stiano cercando di puntare tutto il loro programma politico sull’abbattimento del “sistema-Fidesz” poiché, a loro dire, si baserebbe sulla manipolazione dell’istituto costituzionale, e che per “ripristinare lo stato di diritto” vogliano sottoporre al popolo i cambiamenti costituzionali tramite referendum. Curioso perché non sono pochi i gruppi ungheresi a tutela dei diritti umani che hanno già chiesto che i risultati del referendum contro la propaganda LGBT indetto da Fidesz vengano annullati.

Insomma: accuse di anti-semitismo, estremismo-cattolico, autoritarismo. È incredibile come come il piano dell’opposizione per disfare il lavoro di Fidesz si basi sulle istanze che di norma vengono utilizzate per delegittimare Fidesz. Una questione che al momento, però, viene affrontata solo in Ungheria. Al di fuori della realtà magiara non si sono mai sollevate perplessità circa il profilo di Márki-Zay e del suo progetto politico. La priorità, infatti, al momento, è sbarazzarsi di Orbán. Costi quel che costi.

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