Disciplina, rigore, conti in ordine. Parole d’ordine che ci rimandano a una fase recente e drammatica della nostra storia, quella della grande crisi finanziaria dei debiti sovrani iniziata nel 2010 e che l’anno successivo si abbatté sull’Italia portando alla fine dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi, travolto dalla marea montante dello spread e sostituito, su iniziativa di Giorgio Napolitano, dal governo tecnico di Mario Monti.
Esecutivo che, avendo dalla sua il consenso di buona parte dell’establishment economico e mediatico del Paese, tramutò tali parole d’ordine in azioni concrete volte ad arginare la recessione, basate sulle ricette dell’austerità: tagli massicci alla spesa pubblica, riforma del sistema sociale, addirittura distruzione della domanda interna, come ammesso dallo stesso Monti. Misure che non portarono altro risultato che un duro biennio di recessione per l’Italia e, tra il 2012 e il 2013, un incremento del 5% del rapporto debito-Pil.
A oltre cinque anni di distanza, queste parole d’ordine tornano a riecheggiare nei palazzi di potere dell’Unione europea, i cui vertici, dal presidente della Commissione Juncker al commissario Moscovici, chiedono al nuovo governo italiano di proseguire sulla rotta tracciata dai precedenti esecutivi, di diverso orientamento politico, e di fare del contenimento del deficit di bilancio la stella polare della sua politica economica.
Come scritto di recente su questa testata, dichiarazioni del genere non fanno altro che allontanare dalle condizioni reali dei cittadini italiani e comunitari i membri delle istituzioni europee e testimoniano una rigidità di pensiero e una fedeltà acritica a quelli che sono assurti ad esser dei veri e propri dogmi da parte di coloro che, dovendo rappresentare centinaia di milioni di persone, sono chiamati a uno sforzo politico notevole.
Gli attacchi a freddo dell’Europa all’Italia
Sia ben chiaro: così dicendo non si vuole difendere incondizionatamente la manovra proposta dal governo Conte, che prevede un innalzamento del deficit al 2,4% ma, nonostante interessanti novità sugli investimenti, appare eccessivamente sbilanciata sul versante della spesa corrente. Si vuole altresì evidenziare un notevole pregiudizio dei vertici comunitari nei confronti del nostro Paese che più volte ha visto i suoi programmi economici attaccati da esponenti comunitari in maniera molto spesso grossolana e dannosa, dato che numerose critiche sono giunte a borse aperte sulla base di pochissime informazioni concrete.
Gli investitori statunitensi vanno in controtendenza rispetto ai vertici comunitari sottolineando la solidità dei fondamentali macroeconomici dell’Italia, ma in campo europeo il copione è a senso unico.
“Se accettassimo tutto quello che il governo italiano propone, avremmo delle contro reazioni virulente in altri Paesi dell’Eurozona”, ha dichiarato nella giornata di lunedì lo stesso Juncker, che ha da tempo messo l’Italia nel mirino ignorando le analoghe problematiche della Francia, da tempo oberata da deficit di bilancio ben più sostanziosi, e non specifica quali potrebbero essere i Paesi più animosi verso Roma: forse la Germania di Angela Merkel così abile ad aggirare le regole europee sui surplus commerciali? Forse la stessa Francia del declinante Macron? Forse il suo Lussemburgo?
“L’austerità è pazzia”
Richiamare nuove misure di austerità e pretendere che il nuovo governo si conformasse a linee guida dettate nei loro componenti fondamentali da esecutivi in carica prima che il voto del 4 marzo cambiasse le carte in gioco nella politica italiana è apparsa sin dalle prime battute una scelta decisamente ingenua da parte dei governanti europei. Certo, sin dalle prime battute si è trattato di un dialogo tra sordi: ma la freddezza ostentata da commissari e burocrati nei confronti di “pontieri” come Giovanni Tria e Paolo Savona lascia intendere numerose cose riguardo la desiderabilità dell’approccio europeo.
E il fatto che nuove misure di austerità rappresenterebbero una “pazzia” è sottolineato anche dall’analista indipendente Micheal Ivanovitch in un articolo dedicato al nostro Paese pubblicato sul sito della Cnbc. In un contesto che vede la crescita rallentare (+0,2% su base trimestrale) e l’output manifatturiero stagnare su posizioni tali da non permettere né un volano ai consumi interni né uno stimolo alle esportazioni, si chiede Ivanovitch, come potrebbe una politica fiscale restrittiva aiutare l’Italia, Paese che soffre da tempo la mancanza di reali possibilità di condizionare in maniera favorevole la politica monetaria europea?
Una politica economica espansiva per un’Italia più forte
Secondo l’analista Roma dovrebbe sostenere la crescita economica, il rilancio dell’occupazione e lo sviluppo infrastrutturale. La manovra disegnata non appare dunque la migliore per resistere all’attacco delle istituzioni di Bruxelles, e questa preoccupazione è stata espressa anche da Giulio Sapelli che sul Sussidiario ha sottolineato come l’esecutivo abbia compiuto numerosi errori nella comunicazione del suo programma economici.
Ai cittadini, spiega Sapelli, “vanno offerti con lungimiranza e decisione da statista i benefici futuri, di lunga durata. Quelli che fondano una nuova agenda della politica economica europea. Naturalmente questo implica impostare una profonda riforma della comunicazione politica dove a far premio nel rapporto con gli elettori è il messaggio per cui ciò che conta è ottenere nel lungo periodo beni comuni come l’occupazione, l’aumento del reddito alle famiglie e il profitto delle imprese in una condizione di stabilità dei rapporti con i grandi investitori istituzionali e coloro che devono rendere solvibile e quindi sostenibile il nostro debito pubblico”.
Sapelli sottolinea i benefici di una politica economica espansiva che sappia rafforzare le basi politiche del sistema Paese e recuperare, fondamentalmente, il terreno perduto nel campo più importante: quello della sovranità, che dal 2011 ad oggi ci vede in netto arretramento rispetto a una Germania egemone continentale e a una Francia potenza militare e nucleare. Secondo Sapelli, “l’Italia, che non ha l’atomica, ma l’alleanza strategica di lungo periodo con gli Usa quale sia il presidente, deve agire negoziando e agendo con i fatti”, rispondendo sul terreno concreto a coloro che, in maniera assolutamente antistorica, vorrebbero che Roma applicasse ricette economiche assolutamente in controtendenza con i principi di autonomia e sovranità.