Il 28 dicembre scorso – ma la notizia è trapelata solamente il 3 gennaio – c’è stato un altro sconfinamento lungo la discussa frontiera che separa l’India dalla Cina: un team di operai cinesi scortato da soldati è entrato in territorio indiano per un chilometro nel tentativo di costruire una strada nella regione contesa dell’Arunachal Pradesh, esattamente nell’area di Tuting.
L’incidente di confine si è risolto quando truppe di Nuova Delhi sono intervenute per ristabilire la sovranità secondo precisi accordi internazionali e operai e soldati cinesi sono rientrati entro i propri confini abbandonando i mezzi da scavo che sono stati sequestrati dalle autorità indiane, trovandosi sul lato indiano della LAC (Line of Actual Control). Secondo quanto riportano i media locali, informati da testimoni oculari, tra le truppe dei due contendenti c’è stata una lunga discussione risoltasi però senza particolari acredini.
L’incidente arriva a 4 mesi di distanza dal ben più grave scontro di confine avvenuto tra il 16 giugno ed il 28 agosto dello scorso anno, quando truppe dell’Esercito di Liberazione Popolare Cinese avevano iniziato a costruire una strada nel Dokalam (Dong Lang per la Cina) – regione del Sikkim rivendicata dal Bhutan ma che rientra nei 3488 km di confine conteso tra Pechino e Nuova Delhi – provocando la reazione delle truppe indiane che hanno oltrepassato la linea di demarcazione provvisoria per bloccare l’opera dei soldati cinesi.
In quella occasione la tensione fu tale che si rischiò che si giungesse ad uno scontro a fuoco tra le parti, con le diplomazie che arrivarono ad un accordo per un rapido e simultaneo disingaggio solamente il 18 agosto, divenuto effettivo 10 giorni dopo.
Per la Cina la regione protagonista dell’incidente di confine di fine anno, l’Arunachal Pradesh, semplicemente non esiste in quanto Pechino considera tutta la zona come appartenente al Tibet meridionale. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, interrogato in merito alla questione lo scorso 3 gennaio ha riferito che “Prima di tutto la nostra posizione sul problema di confine e chiara: noi non riconosciamo l’esistenza del cosiddetto Arunachal Pradesh. Per quanto riguarda la questione di merito – lo sconfinamento di soldati cinesi n.d.r. – non ne sono a conoscenza”.
Insomma Pechino gioca a fare orecchio da mercante cercando però di smorzare la tensione affermando nel contempo che tra India e Cina esiste uno sviluppato meccanismo di risoluzione degli affari concernenti i confini e che attraverso questo meccanismo le due nazioni mantengono la pace e la stabilità nell’area.
Concetto ribadito anche in altra sede, come riporta il media di Stato cinese China.org, in occasione della visita di una delegazione del CPC (Communist Party of China) in India appena conclusasi: durante i 4 giorni in cui i delegati cinesi hanno incontrato i rappresentati dei maggiori partiti indiani, tra cui quello attualmente al governo – i conservatori del BJP – sono state ribadite le necessità di stringere ulteriori cooperazioni tra i due Stati e di promuovere lo sviluppo di sani e durevoli legami per contribuire alla pace, stabilità e sviluppo della prosperità nella regione.
Al netto della propaganda di Pechino risulta però evidente il meccanismo ben conosciuto della diplomazia cinese: provocare dei piccoli ma costanti cambiamenti dello status quo, nessuno dei quali possa essere riconosciuto come un “casus belli” – la politica della “fetta di salame” – e nel contempo smorzare i toni attraverso dichiarazioni ad hoc che rimandano alla “pace e stabilità”. Un gioco che non incanta quasi più nessuno, come dimostra anche il caso del Libro Bianco della Difesa del Giappone, in cui si taccia come “inaffidabile” qualsiasi dichiarazione della diplomazia cinese in questo senso.