Se oggi parliamo di soft e hard power, è perché il professor Joseph Nye li ha teorizzati alla fine degli anni Ottanta.
Nye è ricercatore di scienze politiche presso l’università di Harvard e nella sua lunga e prestigiosa carriera è stato un punto di riferimento fondamentale nella politica degli Stati Uniti, che ha contribuito a plasmare attraverso i suoi studi originali. Dal 1977 al 1979, il professor Nye è stato vice del sottosegretario di Stato per l’assistenza alla sicurezza, la scienza e la tecnologia e ha presieduto il gruppo del consiglio di sicurezza nazionale sulla non proliferazione nucleare. Nel 1993 e 1994 è stato presidente del National Intelligence Council, che coordina i rapporti dell’intelligence per il presidente. Nell’amministrazione Clinton, dal 1994 al 1995, Nye è stato assistente segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale mentre nell’ottobre 2014, il segretario di Stato John Kerry lo ha nominato nel Consiglio per la politica degli affari esteri, un organo che discute questioni strategiche e fornisce al Segretario e ad altri alti funzionari del dipartimento analisi e idee che possono tradursi in linee d’azione.
Grazie alla sue decennale esperienza in politica internazionale e alle sue idee rivoluzionarie, il professor Nye è sicuramente la persona più indicata per fornire una lettura diversa, rispetto a quella realista, dell’attuale situazione globale. Recentemente siamo riusciti ad avere una breve intervista dal professore, che ci ha spiegato alcuni concetti chiave del soft e hard power e come oggi le maggiori potenze globali stanno interagendo, con anche un piccolo sguardo al futuro e alla situazione europea.
Dato che, soprattutto in Italia, il pubblico ha difficoltà a comprendere cosa sia soft power e hard power, potrebbe darcene una breve definizione?
Il potere è la capacità di influenzare gli altri per ottenere ciò che si vuole e può essere fatto in tre modi: coercizione, pagamento, attrazione. Il soft power è la capacità di ottenere ciò che si vuole attraverso l’attrazione piuttosto che la coercizione o il pagamento.
Quali sono le differenze sostanziali tra il soft power statunitense, quello cinese e quello russo?
La Russia attrae principalmente in parti della sua area culturale nel suo ex impero. La Cina ha aspirazioni più ampie e attrae per la cultura, le sue prestazioni economiche e la sua assistenza economica. L’attrazione degli Stati Uniti si esprime attraverso la sua cultura e il modello di società civile, principalmente dove sono coinvolti i valori liberali. Nessun paese ha un’attrazione universale per tutti, ma i sondaggi mostrano che gli Stati Uniti hanno più soft power della Cina o della Russia in questa fase della storia.
La guerra in Ucraina ha rivoluzionato l’assetto globale: la Russia si è legata ulteriormente alla Cina, e ora è a tutti gli effetti il partner minore di questa relazione bilaterale. Quando finirà la guerra come si può reintegrare la Russia nel sistema internazionale? Sarà possibile slegarla dalla Cina?
L’allineamento Russia/Cina non sarà facilmente cancellato, ma ci sono alcune tensioni tra di loro. Sarà importante reintegrare una Russia post Putin in Europa per quanto possibile.

Lei, nel 2018, scrisse che il vero pericolo è che la Cina si dimostri troppo debole piuttosto che troppo forte, e quindi fallisca a contribuire all’ordine multitalerale che non ha contribuito a creare. La pensa ancora così? Perché?
No. Anche se penso che la Cina debba affrontare seri problemi demografici e di produttività, è abbastanza forte da cercare di rimodellare piuttosto che contribuire all’ordine internazionale liberale.
Da anni la politica di sicurezza statunitense individua nella Cina la “sfida incalzante” in quanto è dimostrato (e dimostrabile) che Pechino stia lavorando per cercare di contrastare il potere economico/militare globale statunitense. Alla luce della velocità del riarmo cinese, ritiene che la “trappola di Tucidide”, che lei ritiene poco probabile ma comunque possibile, sia più vicina?
Continuo a non pensare che l’analogia con la Grecia di Tucidide vada bene. Preferisco la metafora di Kevin Rudd di una “competizione gestita” tra due rivali strategici che non rappresentano una minaccia esistenziale l’uno per l’altro e che possono trarre vantaggio da aree di cooperazione come il cambiamento climatico.
Lei, ancora a metà del 2022, riteneva che non ci troviamo in una “nuova Guerra fredda”. Però gli Stati Uniti stanno cercando di svincolarsi da alcuni legami con la Cina (penso ad esempio alla filiera dei microchip e quindi delle Terre Rare). Quindi le chiedo: il disaccoppiamento è effettivamente possibile? Stante questo tentativo di slegarsi, è ancora non completamente corretto parlare di “nuova Guerra fredda”?
Un disaccoppiamento su vasta scala delle economie statunitensi (e occidentali) con la Cina sarebbe enormemente costoso per entrambe le parti. È improbabile che ciò accada a meno che non ci imbattiamo in una guerra. Ma è probabile il disaccoppiamento selettivo delle catene di approvvigionamento con significato militare e strategico. Tuttavia non è come durante la Guerra fredda, dove non c’era quasi nessuna interdipendenza economica, sociale o ecologica con l’Unione Sovietica.
Secondo lei come l’Occidente potrebbe rinvigorire il soft power coi Paesi non allineati (soprattutto quelli africani e dell’America Latina)?
Dovremmo prendere sul serio la loro agenda, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo.
In una recente intervista a un ricercatore di relazioni internazionali sudafricano è emerso che i Paesi non allineati non vogliono essere teatro di scontro tra le potenze globali. Quindi le proposte di partnership devono avere l’unico fine del reciproco beneficio, e non contrastare la presenza di potenze rivali. Ritiene che gli Stati Uniti e i Paesi europei ne siano ancora capaci?
Sì, ci sono vantaggi comuni da ottenere in termini di sviluppo e questioni legate ai cambiamenti climatici.
Parlando di Europa, ritiene che l’Unione Europa sia un limite o un moltiplicatore delle capacità di soft power dei singoli Paesi aderenti?
Sicuramente un moltiplicatore!
Foto in copertina di Chatham House