Javier Milei, l’eclettico anarcocapitalista che ha promesso di triturare il settore pubblico biancoceleste, accusandolo di essere il seme di ogni male di Buenos Aires, ha prevalso sul peronista Sergio Massa in quelle che sono state le presidenziali argentine più combattute della storia recente.
Uno scarto di tre milioni di voti ha decretato la vittoria dell’esuberante Milei sul diplomatico Massa. Il candidato peronista è stato punito dalle urne perché identificato dalla maggioranza col presidente uscente Alberto Fernández, reo di non aver trovato rimedio all’iperinflazione galoppante e persistente, che in ottobre era superiore al 140%, e all’emergente epidemia di criminalità.
Uno scarto di tre milioni di voti ha consegnato l’Argentina nelle mani di Milei, che, qualora non venisse travolto dal ritorno della fiamma della shock therapy che ha promesso di attuare, potrebbe incidere in maniera significativa sulle relazioni internazionali. A favore del campo occidentale. E a detrimento del fronte per il multipolarismo.
Il mondo secondo Milei
Del bizzarro Milei è passata l’immagine sbagliata, quella del Leatherface armato di motosega che ciancia di liberalizzare la compravendita di organi umani e di evocare spiriti grazie alla Cabala, mentre poco e nulla è trapelato della piattaforma politica che lo ha proiettato alla Casa rosa.
Anarcocapitalismo, anticomunismo, giudaismo messianico, idiosincrasia valoriale e americanismo sono le parole-chiave che riassumono il programma politico di Milei. Anarcocapitalismo esplicitato dalla promessa di privatizzare l’Argentina. Anticomunismo espresso nella repulsione verso Cina, Cuba, Corea del Nord e parenti alla lontana – le sinistre sudamericane. Giudaismo messianico condensato nel desiderio di abbracciare l’ebraismo e di riconoscere Gerusalemme quale capitale unica e indivisibile di Israele nella speranza-aspettativa escatologica di avvicinare la parusia. Idiosincrasia espressa nella compresenza di valori ultraconservatori e istanze iperprogressiste.
Ma Milei è, anzitutto, un accanito sostenitore dell’America, intesa come idea e come esperimento, ai cui economisti deve le sue idee anarcocapitalistiche e libertarie e alla cui politica estera ha preannunciato che si adeguerà. Ergo: abbandono del terzomondismo, annullamento dell’ingresso nei BRICS, dollarizzazione, fine della “Brasilentina”, stop alle relazioni speciali con Mosca, Pechino e Tehran.
Perché Washington punta su Milei
Milei ha promesso di privatizzare l’Argentina, ma non tutti gli investitori saranno bene accetti al banchetto che verrà aperto nei prossimi mesi. L’anarcocapitalista, infatti, è stato chiaro sui criteri che verranno adottati: sì agli affari con l’Occidente, no agli affari con Russia e Cina. E per quest’ultima, che è la principale beneficiaria dell’export di litio argentino ed è l’investitrice numero uno nelle terre rare argentine, vedersi l’accesso sbarrato alle miniere della Patagonia potrebbe significare problemi per la propria transizione energetica.
Milei piace a Washington anche perché, questione terre rare e minerali critici a parte, parla di dollari nell’epoca dell’alba dello yuan, che Fernández aveva iniziato a utilizzare, può rivitalizzare le boccheggianti destre atlantiste dell’Iberoamerica e vuole schierare Buenos Aires dalla parte delle democrazie nel remake della battaglia tra Mondo libero e Imperi del male. È l’uomo giusto – un filoccidentale – al posto giusto – il Sudamerica attraversato dalla crisi della dottrina Monroe –, al momento giusto – il surriscaldamento della competizione tra grandi potenze.