Negli anni recenti è aumentata sensibilmente l’esposizione dell’Arabia Saudita in Africa orientale. L’interesse è motivato da ragioni economiche e di buon vicinato, ma dietro i maxi-investimenti e il protagonismo diplomatico si cela un obiettivo meno visibile: il contenimento dell’espansione iraniana e turca nel corno d’Africa.
Le iniziative recenti e l’interesse economico
Lo scorso gennaio i capi di stato di Sudan, Gibuti, Somalia, Eritrea, Egitto, Arabia Saudita, Yemen e Giordania, si sono incontrati a Riad per firmare il patto del Mar Rosso. L’accordo ha definito un nuovo quadro d’azione multilaterale per il miglioramento dei rapporti commerciali e diplomatici fra i paesi firmatari e rientra all’interno del più ampio contesto di Vision 2030, un ambizioso piano elaborato dal principe ereditario Mohammad bin Salman per trasformare Riad in una grande potenza retta su fondamenta solide.
La messa in sicurezza del mar Rosso è di vitale importanza per Riad, e anche per il mondo intero, poiché il 13% del commercio internazionale dipende da questa tratta. Non si tratta soltanto di proteggere i carichi di petrolio che transitano regolarmente con destinazione l’Europa, ma di salvaguardare anche le navi-cargo che partono dei porti del corno d’Africa ricche di prodotti alimentari destinati al mercato di consumo saudita.
Infatti, Riad è interessata alla normalizzazione dei rapporti con i paesi dell’Africa orientale perché è estremamente dipendente dalle importazioni di cibo, alla luce del fatto che soltanto il 2% del territorio nazionale è arabile per ragioni climatiche, e ha trovato in essi, nel quadro dell’iniziativa per la sicurezza alimentare, dei validi rifornitori.
Dei 4 miliardi di dollari spesi nella regione negli ultimi anni, cifra che fa dell’Arabia Saudita il quinto maggiore investitore nel continente, una parte cospicua è stata devoluta all’acquisto di migliaia di ettari di terre, passate in mano a proprietari sauditi, soprattutto nella fertile Uganda, che secondo stime statunitensi dispone delle capacità per produrre cibo in quantità tale da soddisfare la domanda di 200 milioni di consumatori.
Le ragioni geopolitiche
L’Arabia Saudita non è l’unica potenza del mondo islamico interessata ad avere una voce in capitolo nell’Africa orientale, perché il suo arrivo è legato all’esigenza di contenere l’espansionismo nella regione di due storici rivali, Turchia e Iran.
Teheran è, ormai da diversi anni, presente in Somalia, insieme ad Ankara e Doha. Sebbene divise ed antagoniste dal punto di vista del disegno ideologico perseguito, le tre potenze sono unite dalla comune ostilità verso l’Arabia Saudita. L’arsenale dei ribelli yemeniti Houthi proviene in parte da Mogadiscio ed anche l’organizzazione terroristica Al Shabaab sembra aver stabilito dei rapporti con Teheran, come palesato dall’attacco condotto in Kenya contro obiettivi statunitensi nelle fasi immediatamente successive all’assassinio di Qassem Soleimani.
Nonostante i recenti attacchi condotti da Al Shabaab contro obiettivi turchi, che potrebbero comunque essere opera di schegge impazzite, l’organizzazione godrebbe del supporto qatariota, paese che a sua volta è sempre più legato ad Ankara.
Il raggiungimento dello storico accordo di pace del 2018 fra Etiopia ed Eritrea, siglato a Gedda, va contestualizzato nell’ambito della grande strategia saudita per il corno d’Africa. Mettere in sicurezza la regione significa proteggere interessi commerciali miliardari ma anche ridurre l’influenza dei nuovi sponsor della destabilizzazione, il cui coinvolgimento nella pirateria, nell’insurgenza terroristica e nei traffici di armi, rappresenta una minaccia diretta per Riad, circondata ad est da Teheran, a sud dagli Houthi e ad ovest da un corno d’Africa in fibrillazione.