Risulta difficile comprendere i fenomeni geopolitici se non si tiene in considerazione una risorsa fondamentale quale è il petrolio. Ancora ad oggi rappresenta infatti la fonte di energia più utilizzata e quindi più indispensabile per il funzionamento della società.
Quel petrolio che determina la geopolitica
Dai trasporti alla difesa, il mercato del petrolio è dunque fondamentale per l’agenda estera di qualunque Paese tecnologicamente sviluppato. Ed è per questo che le dinamiche geopolitiche spesso si intrecciano con i flussi di mercato dell’oro nero e anzi, certe volte, ne rappresentano le mere conseguenze. Più che di politica sottomessa all’economia si deve parlare in questo caso di politica sottomessa alla sopravvivenza, perché il greggio può sancire la sopravvivenza stessa di uno Stato.
Per confermare questo assunto è sufficiente fare un’analisi della classifica dei Paesi con le riserve petrolifere più grandi al mondo. Due di questi, Iraq e Libia, dopo aver subito due pesanti interventi militari occidentali, stanno ancora attraversando una forte fase di instabilità politica. Altri due, Venezuela e Iran, sono al centro di una pressione politica internazionale che, insieme a un duro pacchetto di sanzioni, sta contribuendo ad una crisi economica interna. Una situazione esplosiva che ha portato entrambi gli Stati alla riduzione della produzione giornaliera del petrolio.
La mano di Washington sull’aumento del prezzo del petrolio
Anzi proprio la recente decisione dell’amministrazione americana di uscire dall’accordo sul nucleare con l’Iran e inasprire così le sanzioni alla Repubblica Islamica ha contribuito all’aumento del prezzo mondiale del petrolio. Il listino odierno segna infatti una quotazione di 80 $ per il greggio prodotto dai Paesi dell’OPEC (di cui fanno parte sia Iran che Venezuela). Gli Stati Uniti però, che di quella classifica fanno parte ma fuori dalla top ten, non si accontentano di quest’inasprimento di sanzioni e vogliono che allo stesso tempo il prezzo del petrolio non si alzi. Così Trump in un recente tweet minacciava i Paesi OPEC: “Sembra che l’OPEC ci risia di nuovo. Con un record di quantità di petrolio ovunque, insieme a navi cariche nel mare, il prezzo del petrolio è artificialmente troppo alto! Questo non è un bene e non sarà accettato!”.
Così tuonava il tycoon contro quel cartello che dal 2017 si era accordato per un deciso taglio alla produzione, con l’obiettivo di aumentarne il prezzo, arrivato ad inizio 2017 al record negativo di 40$ a barile. Una situazione di cui gli Stati Uniti, grande importatore di petrolio, hanno ampiamente beneficiato. L’obiettivo raggiunto dall’OPEC è stato però gonfiato proprio dallo stesso inasprimento politico americano contro Venezuela e Iran. Un “gioco” che si è evidentemente ritorto contro la Casa Bianca.
Il petrolio russo come merce di scambio per il Medio Oriente
Ed ecco che diventano protagonisti altri due Paesi presenti in quella famosa classifica per grandezza di riserve petrolifere. Arabia Saudita e Russia. La prima in particolare, nel suo ruolo di stretto alleato di Washington, ha messo in moto il suo Ministro del petrolio Khalid Al-Falih, pronto a venire incontro all’ “ansietà dei suoi clienti”. E anche un ex dipendente della Casa Bianca, come riportato da Bloomberg, ha affermato che il tweet “ha mosso i sauditi e il messaggio è stato inviato forte e chiaro”. Così si è attivata la macchina della diplomazia saudita che al Forum economico di San Pietroburgo ha chiesto un aiuto al gigante russo, il cui peso nella produzione del petrolio influisce e non poco sul prezzo.
Il Ministro dell’energia russo, Alexandr Novak, non ha però la stessa fretta di Riyad e ha placidamente affermato che “se un aumento sarà deciso, sarà da far partire nel terzo trimestre dell’anno”. Mosca non ha dunque nessuna fretta di fare questo favore all’amministrazione americana. Anzi, questa partita sul prezzo del petrolio potrebbe aver fornito un assist non indifferente a Vladimir Putin per risolvere a suo vantaggio la situazione mediorientale. La richiesta saudita può essere infatti soppesata insieme ad eventuali rinunce belliche di Riyad in Siria e nei confronti dell’Iran. Il petrolio diventa dunque merce di scambio per la stabilizzazione del Medio Oriente e la Russia ha in questo momento il potere di deciderlo.