La corsa per l’egemonizzazione dell’Artico e l’accapparramento delle sue risorse è iniziata da poco tempo, con gli Stati Uniti che si scoprono in difficoltà contro il rivale cinese sia in Groenlandia che nel proprio stesso territorio, in Alaska, ma un nuovo scontro tra i ghiacci sta già palesandosi all’orizzonte: nel continente antartico.

I piani della Cina

Lo status speciale del continente bianco garantito dal trattato di Washington del 1959 proibisce la creazione di installazioni per fini militari, lo sfruttamento delle risorse naturali e stabilisce un regime informale di cooperazione fra i contraenti basato su scambio di informazioni, ispezioni e osservazioni terrestri ed aeree per valutare il rispetto dei primi due punti.

Ma da quando nel 2005 una spedizione cinese raggiunse Dome Argus, l’area più fredda del pianeta nonché il punto più elevato dell’altopiano antartico, ponendo le premesse per la successiva costruzione della stazione Kunlun, ultimata quattro anni dopo, a Washington sono aumentati i sospetti che gli obiettivi di Pechino nel continente esulino dalla semplice ricerca scientifica.

Infatti, è dal 2013 che la Cina sta cercando di dissuadere i contraenti dell’accordo sull’Antartide per ottenere che Dome Argus venga riconosciuta come un’area antartica specialmente gestita.

Lo status consentirebbe al paese di avere maggiori rivendicazioni sul territorio e condurre nel miglior modo possibile le attività di ricerca scientifica e indagine ambientale, ma gli Stati Uniti hanno sempre opposto una ferrea resistenza durante le tavole di discussione, sostenendo che esista il concreto rischio che l’area – già di per sé difficilmente raggiungibile e monitorabile – possa essere utilizzata per scopi militari e di sfruttamento del sottosuolo.

Le paure di Washington sembrano essere corroborate da alcuni eventi. Dal 2009 ad oggi la Cina ha investito più di ogni altro paese nel continente, costruendo e potenziando – oltre Kunlun – un aerodromo stagionale, due stazioni permanenti ed una base stagionale, e nei prossimi anni ci sarà l’inaugurazione di una nuova base temporanea e del primo aerodromo fisso dell’Antartide. Quest’ultimo è stato pensato sia per migliorare il trasporto di personale, tecnologia e reperti da e verso la madrepatria che per garantire il primato nella gestione dello spazio aereo antartico.

Soltanto gli Stati Uniti possiedono più installazioni della Cina, ma la situazione potrebbe cambiare in futuro e la chiave del mutamento potrebbe giungere da un fattore inaspettato che Pechino ha dimostrato di saper utilizzare magistralmente come strumento di politica estera: il turismo.

Nel 2008 il continente bianco era stato scelto come meta di viaggio da meno di 100 cittadini cinesi. Dieci anni dopo, durante la stagione 2017-18, gli stessi componevano il 16% dei flussi turistici totali con poco più di 8200 presenze, ponendosi soltanto dietro gli statunitensi per numero di arrivi.

Le agenzie turistiche cinesi prevedono che il boom sia destinato a durare ed aumentare nel tempo, perciò il paese sta investendo nell’espansione delle installazioni e nel potenziamento della rete di interconnessione che le collega – trovandosi sostanzialmente nel Territorio Antartico Australiano. Il turismo di massa potrebbe essere la scusante ideale con la quale legittimare una maggiore presenza infrastrutturale nel continente.

Infine, nel maggio 2017, l’Amministrazione Oceanica di Stato ha pubblicato la prima strategia nazionale per il continente di ghiaccio nel libro bianco Attività antartiche della Cina“. Nel documento la Cina riafferma la volontà di voler cooperare con i contraenti dell’accordo di Washington per difendere la non-militarizzazione dell’Antartide e di avere come unici obiettivi ricerca scientifica e indagini ambientali, che si intendono perseguire con maggiori investimenti nelle strutture esistenti e nella creazione di nuove.

Un punto che ha suscitato perplessità è quello sull’impegno del paese a garantire lo “sviluppo sostenibile” del continente, un concetto che secondo Stati Uniti e Australia nasconderebbe presunte volontà di un futuro sfruttamento delle risorse naturali che, come al polo nord, sono destinate a divenire accessibili per via del cambiamento climatico.

Le contromosse di Stati Uniti e Australia

Gli Stati Uniti sono presenti in Antartide sin dal periodo interguerra e hanno incrementato significativamente la loro presenza negli anni della guerra fredda, per poi spostare il focus su altri fronti geopolitici all’indomani del collasso dell’Unione Sovietica.

Il protagonismo cinese sta, però, spingendo Washington a rivalutare l’importanza di questo teatro, nel quale si sta appoggiando sull’aiuto di alleati storici, come Australia e Nuova Zelanda.

Dopo la costruzione della base Kunlun, l’ente governativo statunitense Programma Antartico ha devoluto dei fondi all’operazione militare Deep Freeze per costruire un’installazione temporanea con la quale monitorare le attività cinesi nell’altopiano. La base è stata realizzata a circa 100 chilometri di distanza da Kunlun in grande segretezza: secondo fonti cinesi la costruzione sarebbe avvenuta nottetempo per mezzo di aerei che hanno trasportato personale, materiale e strumenti.

Australia e Nuova Zelanda hanno annunciato delle strategie di lungo termine sostenendo che il continente sia minacciato dalle manovre di Russia e Cina, che sarebbero interessate a effettuare test militari segreti e sfruttare le risorse del sottosuolo.

L’Australia, che reclama sovranità sul 42% dell’Antartide, ha varato un piano ventennale che prevede maggiori attività di pattugliamento e sorveglianza satellitare, potenziamento delle tre stazioni permanenti e costruzione di nuove, e accordi con la Lockheed Martin Space per lo sviluppo di tecnologia spaziale da utilizzare per monitorare le attività cinesi.





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