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La Siria ha intimato a Turchia e Stati Uniti di ritirare le truppe presenti nel Paese, riservandosi il diritto di difendere il proprio territorio nazionale qualora ciò non accada. Questo è quanto riferito da Walid al-Moallem, ministro degli Esteri di Damasco, nel corso del suo intervento di fronte all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Moallem ha definito la zona di Idlib, una delle ultime sotto il controllo dei ribelli anti Assad e di forze jihadiste, come un covo di terroristi e ha reiterato il supporto governativo per la stesura di una nuova costituzione siriana, senza che ciò subisca però pressioni o interferenze esterne. Washington ha circa mille uomini presenti nel nord-est del Paese, nelle aree controllate dalle Forze democratiche siriane, dediti al contrasto delle attività dello Stato islamico. Ankara, invece, conduce periodiche incursioni militari, nelle aree settentrionali della Siria, per attaccare quei gruppi che considera minacciosi per la propria sicurezza nazionale: i combattenti curdi dell’Ypg e i radicali islamici.

Le mosse di Ankara

Damasco, malgrado i toni bellicosi della propria diplomazia, deve fare i conti con una difficile situazione sul campo. Ankara mira alla creazione di un corridoio di pace, che dovrebbe essere largo circa 30 chilometri ed avere una lunghezza di 480 chilometri, destinato ad inglobare quei territori siriani a ridosso della frontiera con la Turchia. Qui, come ha ricordato Recep Tayyip Erdogan nel suo discorso di fronte all’assemblea generale delle Nazioni Unite, saranno costruiti villaggi ed infrastrutture per due milioni di profughi siriani, costretti ad abbandonare le proprie case in seguito alle distruzioni causate dal conflitto. Il presidente vuole fortemente la nascita di questa zona cuscinetto e per un duplice motivo: impedirà ai militanti curdi di avvicinarsi eccessivamente al confine turco, rendendolo più sicuro e consentirà l’uscita dal Paese di almeno una parte di quei 3.6 milioni di profughi siriani rifugiatisi in Turchia. Il piano potrebbe però essere destinato al fallimento. La zona designata, semidesertica, non riuscirebbe ad ospitare un numero così grande di persone ed inoltre ciò andrebbe ad esacerbare l’equilibrio etnico della popolazione ivi residente, in questo momento in larga maggioranza curda. Non è neanche chiaro se i profughi accetterebbero di insediarsi in questi territori ed in ogni caso qualora ciò avvenisse potrebbe scatenare una vera e propria guerra settaria con i residenti. C’è poi da fare i conti con la posizione di Washington, che potrebbe non vedere di buon occhio una penetrazione strategica di questa portata da parte della Turchia nel nord-est della Siria.

Gli sviluppi

Le milizie curde dell’Ypg continuano a rappresentare una vera e propria ossessione per Ankara che ha rinnovato, questo mese, la minaccia di un’incursione militare in Siria contro queste ultime, a meno che la sua richiesta circa la creazione di una zona cuscinetto di trenta chilometri non venga accettata da Washington. Gli Stati Uniti dovranno così cercare, in una sorta di equilibrismo politico, di non rompere del tutto con il governo turco, partner strategico fondamentale, senza però accondiscendere a tutte le sue pretese. Damasco è costretta ad osservare questi sviluppi da lontano e senza avere voce in capitolo su di essi, malgrado abbia riconquistato buona parte dei territori persi nel lungo conflitto con le forze ribelli. L’unità territoriale della Siria, però, sembra ancora lontana e la presenza del bastione ribelle di Idlib, dove sono attive anche forze jihadiste, complica ulteriormente un quadro politico già frammentato. La Turchia continua ad avere mire espansionistiche sulla Siria settentrionale, anche in funzione di rendere più sicuri i propri confini nella regione e continuerà a contrastare la presenza dei curdi e ad avversare un rafforzamento, nel lungo periodo, dell’esecutivo di Damasco. Questi obiettivi consentono al presidente Erdogan di esaltare la propria immagine di difensore della patria e di porre fine, qualora il progetto di costruzione del corridoio di pace vada in porto, alla presenza di molti migranti siriani sul suolo turco. Bisognerà anche tenere conto dell’opinione della Russia, il principale alleato del governo siriano e uno degli artefici della sua rinascita. Mosca, infatti, potrebbe non apprezzare l’eccessivo attivismo di Ankara.

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