Mentre il mondo intero si chiede che fine possano aver fatto Valery Gerasimov e Sergei Shoigu, è passato in secondo piano il “grande rifiuto” di un pezzo da novanta dell’amministrazione putiniana nonché della politica russa intera. Anatolij Borisovič Čubajs, 66 anni, ex vicepremier, inviato russo per il clima e padre nobile delle privatizzazioni ha lasciato la Russia facendo perdere le tracce di sé: sarebbe in Turchia, o almeno così mostra il sito internet del quotidiano Kommersant che ha pubblicato una sua fotografia scattata all’aeroporto Ataturk di Istanbul. Le sue dimissioni, accettate, sono un gesto di rottura che lo ha reso, nel giro di poche ore, il politico di più alto rango a rompere con il Cremlino a causa dell’invasione dell’Ucraina.
Chi è Anatolij Čubajs
Nato in Bielorussia, da madre ebrea lituana e padre russo (dettagli tutt’altro che secondari), Čubajs proviene dall’humus culturale e accademico di San Pietroburgo, città che ha contribuito a trasformare in un laboratorio di riforma politica, costruendo da qui piattaforme per le elezioni locali e nazionali. Ma il suo merito è legato soprattutto alla sua posizione di “dissidente” in economia che lo portò, a partire dai primi anni ’80, a divenire il leader di un circolo informale di economisti orientati al mercato attraverso il quale veicolare i propri studi che mettevano in discussione l’efficacia e l’efficienza della pianificazione economica. Da studioso dissidente, difensore strenuo delle privatizzazioni, militò nella politica pietroburghese fino a quando, a crollo dell’Unione Sovietica avvenuto, ascese a ministro nel gabinetto di Boris Eltsin, che scelse affidargli il portafoglio della Rosimushchestvo, l’Agenzia del Ministero delle Finanze per la gestione delle proprietà statali che si occupava proprio del programma delle privatizzazioni. In quegli anni, strumenti come i voucher e i loan for shares permisero a esponenti politici, economisti e dirigenti vicini al Corvo Bianco di impadronirsi di colossi dello Stato a prezzi irrisori.
Da questo ruolo in poi, per Čubajs, si sarebbe avviato un cursus honorum d’eccellenza: dal novembre 1994 al gennaio 1996, ricoprì la carica di vice primo ministro per la politica economica e finanziaria, portando a casa un risultato sorprendente: entro la fine del 1995, il tasso russo di inflazione medio annuo era diminuito dal 18% al 3%. Il punto partita gli valse la rappresentanza della Russia sia presso la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo che l’Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti. Presto avrebbe guadagnato un’altra tacca sul suo palmarès: fu merito di Čubajs il “miracolo” della rielezione di Eltsin, dato per sconfitto nei sondaggi e poi rieletto con oltre il 50% dei suffragi nel 1996. La grande imprese gli valse il ruolo di capo dell’amministrazione presidenziale russa divenendo un sopravvissuto politico d’eccellenza. La vulgata vuole che avesse osteggiato l’ascesa di Vladimir Putin, non per sospetta incapacità ma perché, a suo dire, la figura dell’ex-Kgb sarebbe stata difficilmente digerita dalla Duma e avrebbe potuto contribuire a creare disordini sociali.
Gli anni di Vladimir Putin
Nei primi giorni dell’ascesa al potere di Putin, Čubajs era considerato un avversario dall’attuale presidente. Quando, tuttavia, il nuovo corso russo ebbe inizio, poco più di venti anni fa, Čubajs sembrò l’uomo giusto al momento giusto, il traghettatore tra l’era Putin e l’eredità sovietica, nonché anfitrione presso le grandi aziende straniere desiderose di investimenti in Russia. Con un passato anche da amministratore della società statale Rosnanotech, ha potuto essere anche il referente del comparto ICT, settore al quale la Russia si affacciava timidamente. Čubajs è rimasto una figura chiave nell’era di Putin soprattutto guidando una revisione del settore energetico del Paese: pur non essendo un siloviko, è stato visto come uno dei pochi funzionari di mentalità liberale rimasti nel governo neozarista.
Dopo diversi incarichi di primo piano nel governo, è diventato il capo della UES, che controlla la vasta rete elettrica del paese. La nomina, in sostanza, lo ha reso uno dei magnati più potenti della Russia con probabilmente più influenza sulla politica del Cremlino rispetto a quando era al governo.
L’ascesa al potere di Vladimir Putin, tuttavia, seppur lo ha reso una figura sempre più autorevole, allo stesso tempo lo ha messo su un terreno sempre più instabile. Čubajs e i suoi alleati filoccidentali nel nuovo partito dell’Unione delle forze di destra (Sps) hanno sostenuto l’ex ufficiale del Kgb, permettendogli di assicurarsi i voti della classe media liberale. Ma è diventato chiaro che l’influenza sul Cremlino di Čubajs è stata oscurata da quella degli ex funzionari dei servizi segreti nell’entourage di Putin. Nelle elezioni del 2003 l’SPS non è riuscito a entrare in parlamento: un chiaro segno che Čubajs aveva avuto un ruolo troppo marcato nella campagna elettorale del partito. Nel 2004 proprio la “rivoluzione arancione” ucraina rappresentò un momento chiave per far risaltare le profonde divergenze sulla politica interna: i suoi alleati politici, infatti, la sostennero apertamente sostenuta tanto da arrivare a definire Yulia Tymoshenko come una “Čubajs” ucraina.
Poi, nel 2020, la nomina a inviato speciale per i rapporti con le organizzazioni internazionali e lo sviluppo sostenibile. Ruolo che lo ha tenuto a stretto contatto con gli Stati Uniti, e soprattutto con John Kerry, omologo per il clima del presidente Joe Biden. Un’investitura che può essere letta in due modi: da un lato, un incarico importante, considerata la rilevanza politica che gli impegni climatici hanno assunto, ma soprattutto in virtù dell’abilità negoziale e diplomatica che l’incarico necessita: e Čubajs, liberale, à la page e tendenzialmente filoccidentale, non poteva che essere l’uomo giusto. Nel luglio dello scorso anno un entusiasta John Kerry, tra l’altro, promuoveva con un “great” l’incontro con il suo collega russo sull’importanza di trovare aree di cooperazione per accelerare il contributo della Russia alla transizione energetica globale. Dall’altro lato, l’incarico potrebbe anche essere visto come un declassamento della sua figura, un ruolo diplomatico affidato a chi doveva in qualche modo essere messo fuori gioco e rabbonito con un ruolo di prestigio legato però a un campo “minore” e che soprattutto potesse distrarre dalla Versailles putiniana.
Il rischio dell’effetto domino
Sembrerebbe, dunque, che anche Čubajs sia finito nel club dei “traditori e della feccia”. Tuttavia, non sono poche le voci di dissenso che bollano come opportunista la sua fuga. La portavoce di Alexei Navalny, Kira Yarmysh, ha dichiarato infatti che Čubajs avrebbe “lasciato la Russia solo per paura per la propria pelle e i propri soldi”. Sebbene il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov abbia confermato le dimissioni senza specificarne le ragioni (affermando “Che se ne sia andato o meno è una sua questione personale), ora Mosca teme l’effetto domino.
Pochissimi funzionari attuali o ex del Cremlino si sono espressi contro la guerra. Arkady Dvorkovich, ex consigliere economico capo di Dmitry Medvedev ha condannato la guerra in un’intervista a Mother Jones la scorsa settimana, chiosando: “Le guerre sono le cose peggiori che si possano affrontare nella vita … I miei pensieri sono con i civili ucraini”. Serpeggia il dubbio anche attorno alla numero uno della Banca centrale della Federazione russa Elvira Nabiullina che, secondo voci di corridoio, sarebbe pronta a dimettersi.