L’America Latina è considerata, da sempre, il cortile di casa degli Stati Uniti. Washington ha bisogno che quest’area strategica (o almeno la maggior parte delle nazioni che ne fanno parte) non gli volti le spalle e non assuma atteggiamenti ostili nei suoi confronti. Questo obiettivo, raggiunto per buona parte del ventesimo secolo anche grazie ad alcuni interventi a gamba tesa nelle questioni politiche interne degli Stati della regione, si è allontanato negli ultimi due decenni.
La rivoluzione bolivariana in Venezuela ha dato nuova linfa alle forze progressiste dell’America Latina che, a tratti, hanno dominato la scena politica più o meno recente della regione. Gli Stati Uniti continuano ad esercitare una notevole influenza su buona parte delle nazioni ma non mancano gli elementi ostili. L’Amministrazione Biden, insediatasi da poco meno di sei mesi, dovrà dunque districarsi in un ginepraio fatto di alleati più o meno fedeli e di acerrimi nemici.
I nemici
Gli Stati Uniti hanno rotto le relazioni diplomatiche con il Venezuela nel gennaio del 2019 quando l’amministrazione Trump ha riconosciuto Juan Guaido come presidente ad interim del Venezuela ed ha imposto sanzioni contro il governo Maduro per facilitare un cambio di esecutivo. Una scelta, quest’ultima, che non dovrebbe essere modificata da Joe Biden che, tutt’al più, potrebbe dimostrarsi più flessibile nell’ambito della comunicazione con Caracas. Biden si è dimostrato disposto a dar vita ad un dialogo per porre fine alle sanzioni in cambio di elezioni ma non dovrebbero esserci novità sostanziali in arrivo. I rapporti continueranno ad essere complessi.
L’approccio mostrato da Biden nei confronti di Cuba non sembra essere molto diverso da quello scelto da Donald Trump. Dopo cinque mesi nell’Ufficio Ovale, infatti, non è stata rimossa nemmeno una delle 240 misure imposte da Trump per rafforzare l’embargo de l’Avana. Non mancano le critiche nei confronti del (mancato) rispetto dei diritti umani sull’isola e la Casa Bianca ha inoltre deciso che Cuba rimarrà sulla lista degli Stati che sponsorizzano il terrorismo perché poco cooperativa in questo ambito. Non tutti, negli Stati Uniti, sembrano essere d’accordo ed alcuni think thank vorrebbero un ritorno al riavvicinamento voluto da Barack Obama. Biden, però, potrebbe non ascoltarli e scegliere la via della pressione invece che della normalizzazione.
Il Dipartimento di Stato ha accusato il presidente del Nicaragua Daniel Ortega, come ricordato da Atlanteguerre, di ““asfissiare la società civile e di portare il paese verso la dittatura” ed ha esortato il presidente nicaraguense a cambiare strada con un’esortazione che può anche essere interpretata come un ultimo avvertimento. Ortega ha fatto approvare dal parlamento una serie di leggi preoccupanti tra cui ci sono quella che punisce con la reclusione chiunque, a giudizio del governo, diffonde notizie false, quella che reintroduce l’ergastolo per non ben meglio specificati “motivi d’odio” e quella che blocca i finanziamenti internazionali a qualunque organizzazione della società civile. Sembra comunque improbabile che Ortega possa accettare il consiglio proveniente dagli Stati Uniti.
Gli alleati
La Colombia è uno degli alleati più fidati degli Stati Uniti nell’Emisfero Occidentale. Le due nazioni hanno consolidato, nel corso dei decenni, una relazione di amicizia che ha consentito di preservare i rispettivi interessi nazionali. Bogotà ha evitato che la crisi umanitaria in Venezuela minacciasse la stabilità regionale ed ha accolto oltre un milione e mezzo di profughi e migranti provenienti dalla nazione latinoamericana. La Colombia è stata oggetto di massicci investimenti americani, circa 10 miliardi di dollari sino al 2015, destinati a migliorare la stabilità e la sicurezza interna del paese. Gli sforzi di Washington, destinati in un primo momento ad eradicare la coltivazione della coca, si sono poi concentrati nell’assistere il governo colombiano contro FARC, ELN ed AUC, tre organizzazioni di stampo marxista, nei primi due casi e conservatore nel caso delle AUC. Il presidente Ivan Duque è un vero e proprio falco schierato a fianco di Washington.
L’America Centrale ha rappresentato, sin dalla fondazione degli Stati Uniti, un luogo deputato all’estensione dell’influenza geopolitica americana. I legami, talvolta, sono talmente stretti da essere soffocanti e Washington è, da sempre, il principale partner commerciale della regione. Il Central American Free Trade Agreement, un accordo che non è limitato all’eliminazione dei dazi ma anche alla tutela degli investimenti e dei servizi finanziari, contribuisce a rinsaldare il legame tra le parti e gli Stati Uniti sono anche la principale fonte di aiuto per lo sviluppo. L’unica minaccia all’egemonia americana, in questa parte dell’America Latina, sembra giungere dalla Cina che, negli ultimi anni, si è dimostrata interessata ad intessere legami commerciali sempre più strette con gli esecutivi locali. Il discorso è valido, in particolare modo, per Guatemala ed Honduras ma anche per Panama.
Gli ex amici
Jair Bolsonaro è stato, insieme a Vladimir Putin, uno degli ultimi Capi di Stato a congratularsi con il presidente eletto Joe Biden. Il legame ideologico tra Bolsonaro e Donald Trump è venuto a mancare con la sconfitta dello stesso Trump alle elezioni presidenziali e non sembrano esserci molti punti d’incontro con Biden. Il rispetto dei diritti umani, la protezione dell’ambiente e quella degli indigeni brasiliani non sembrano interessare Bolsonaro mentre sembrano cruciali per la Casa Bianca. Washington potrebbe chiudere un occhio sulle mancanze più gravi per sfruttare il rapporto con il Brasile, tradizionalmente forte, in funzione anti cinese ma i punti di frizioni non mancano e l’appartenenza politica di Bolsonaro, legato alla destra radicale, non potrà che provocare malumori negli Stati Uniti.
Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (conosciuto come AMLO), che aveva stretto un’amicizia improbabile con Donald Trump, non sembra interessato a forgiare legami molto stretti con Joe Biden. AMLO si è recentemente schierato con i Repubblicani in merito alle questioni migratorie, ha chiarito che non vuole interferenze da parte di Biden negli affari interni del Messico ed è stato uno degli ultimi a congratularsi con l’ex vice di Obama per la sua vittoria. Il rapporto transazionale stipulato tra Trump ed AMLO non sembra replicabile. Il primo, infatti, chiudeva un occhio sugli affari interni del Messico in cambio dell’aiuto fornito dal secondo nell’ospitare i migranti centroamericani diretti verso gli Stati Uniti. AMLO, un populista di sinistra, condivideva con Trump anche una certa avversione nei confronti dei media ed uno stile comunicativo ruvido e talvolta aggressivo.