In Argentina, i veicoli e le proprietà sequestrate ai narcotrafficanti sono destinati al trasporto e il ricovero dei pazienti affetti da Covid-19, gesto di grande significato civile. Tuttavia, misure straordinarie dovrebbero essere adottate, in America Latina, per evitare che la criminalità aumenti la propria influenza o sviluppi nuove nicchie, nel mezzo dell’emergenza sanitaria. Sebbene le risorse siano ancor più limitate per il blocco produttivo e commerciale, il rischio di non agire in maniera preventiva é considerevole.
Alcuni indicatori sono eloquenti. In Colombia, approfittando del dispiegamento dell’esercito e la polizia per il rispetto dell’isolamento sociale obbligatorio, si è registrato un aumento notevole di omicidi di leader sociali e attivisti, impegnati nella lotta contro traffici illeciti che ledono i diritti umani di intere comunità, con particolare gravità nelle regioni del Catatumbo e del Cauca, dove è in atto un’autentica guerra. In Messico, il mese di marzo di quest’anno è stato il più violento dal 1997, con estorsioni, sequestri e sparizioni, all’ordine del giorno, a opera di pandillas e cartelli della droga. Il prezzo che i migranti stanno pagando ai coyotes per il passaggio fluviale dall’Honduras e El Salvador al Guatemala è salito da 50 a 200 dollari, quando il salario minimo per coloro che hanno un posto di lavoro, in entrambi i paesi, si aggira intorno ai 250.
Di certo, la crisi scatenata dalla pandemia nel continente ha ridotto gli introiti del mercato degli stupefacenti. Questo dipende, infatti, su larga scala da reti con base in Cina per il rifornimento di precursori chimici per la produzione di fentanile – oppiaceo 50 volte più potente dell’eroina – e metanfetamina – sostanza più tossica della cocaina. La domanda, poi, è diminuita, a causa del lockdown statunitense e la riduzione degli spazi privilegiati di distribuzione e consumo.
I cartelli, però, hanno ricalibrato i propri interessi. Uno studio recente della Fondazione Pares indica la presenza di 28 gruppi armati lungo il confine fra la Colombia e il Venezuela che dirigono massicce operazioni di contrabbando di armi, oro e combustibile, attraverso trochas, punti di passaggio non coperti dalla sorveglianza di frontiera. Di questi, 14 sono organizzazioni di carattere transnazionale, come los pranes – pandillas venezuelane di origine carceraria – e il cartello di Sinaloa del super ricercato Ismael Zambada García.
In altri casi, sono in atto sostituzioni di potere. Nelle favelas di Rio de Janeiro, casa di oltre il 22% degli abitanti della città, corrispondente a 1.4 milioni di persone, le bande hanno soppiantato la reticenza dello stato nel controllo delle misure sanitarie e di distanziamento per evitare la diffusione del contagio, inclusa la distribuzione di articoli per l’igiene e alimenti, incrementando la dipendenza di un ingente settore della popolazione all’economia criminale. A San Salvador, la mara Barrio 18 a canna di pistola ha, invece, assicurato la continuazione dei mercati rionali, 42% dell’economia informale del paese, e base del racket della protezione, nonostante la proibizione del governo.
In America Latina si aspetta la peggiore recessione in cinquant’anni. La brusca caduta del Pil e la diminuzione degli scambi commerciali nella regione, con impatti socio-economici ancora non del tutto prevedibili nella loro complessità, provocherà un aumento della povertà e una diminuzione delle rimesse dei migranti negli Stati Uniti – in Messico rappresentano il 3% del Pil. Nuove schiere di giovani potrebbero essere presto facile preda delle gang per ragioni di mera sopravvivenza.