Con la sconfitta dell’Isis e il progressivo ritiro delle truppe americane, ora il presidente siriano Bashar al Assad punta a riprendersi il Paese e a riportare la Siria al centro del mondo arabo.
Il disgelo è iniziato lo scorso ottobre, con l’annuncio, fatto dal presidente siriano al giornale kuwaitiano Al-Shahed, del raggiungimento di un “accordo importante” con i Paesi arabi per la riapertura delle rappresentanze diplomatiche e non solo. A confermare le sue parole, qualche giorno dopo, è un inedito incontro amichevole tra il ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem e l’omologo del Bahrein, Ahmed al-Khalifa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
A metà dello stesso mese la Giordania decide la riapertura del valico di frontiera di Nassib, chiuso da oltre tre anni, a persone e merci. Ma è a dicembre che si passa dalle parole ai fatti con la riapertura delle ambasciate di Emirati Arabi, Bahrein e Kwait. Una mossa che, secondo il ministero degli Esteri emiratino, punta a “ripristinare le relazioni tra i due Paesi” e a “contrastare il dominio di Iran e Turchia sulla regione”. A testimoniare la distensione ci sono anche le ispezioni condotte nell’aeroporto internazionale di Damasco da Oman Air, Gulf Air e Ethiad, che avevano sospeso i voli da e verso la capitale siriana nel 2012.
La posta in gioco, secondo l’inviato de La Stampa, Giordano Stabile, non sarebbe solo geopolitica, ma anche economica. In ballo c’è la ricostruzione del Paese. Un affare da 380 miliardi di euro, secondo le stime dell’Onu, che attrae le petromonarchie del Golfo. Così anche l’Arabia Saudita, che per ora ha smentito di voler rispedire i suoi diplomatici a Damasco, si starebbe orientando verso posizioni più morbide, complice l’avvicendamento tra Adel al-Jubeir e Ibrahim al-Assaf al ministero degli Esteri.
Sempre secondo La Stampa, il progetto dei sauditi, d’intesa con il governo egiziano, sarebbe quello di aprire al ritorno della Siria nella Lega Araba, ad una condizione. In cambio Assad dovrebbe allentare i rapporti con l’alleato iraniano e arginare il ruolo dei miliziani sciiti presenti nel Paese. Dovrebbe cioè voltare le spalle a Teheran e ad Hezbollah, che in Libano guida il fronte dei sostenitori della riammissione del governo siriano all’interno dell’organizzazione internazionale, dopo la sospensione della membership nel 2011. Il perno del dialogo tra Siria, Egitto e Arabia Saudita poggia sulla frattura tra i Paesi sostenitori dei Fratelli Musulmani, come il Qatar, e gli avversari dell’islam politico, come il Cairo e Riad. Non a caso, il ministro degli Esteri di Doha, ha escluso categoricamente l’ipotesi di una normalizzazione dei rapporti diplomatici con il governo siriano, sottolineando la propria contrarietà alla riammissione della Siria nella Lega Araba.
Secondo le indiscrezioni fornite da un diplomatico arabo all’agenzia di stampa Reuters, però, la maggioranza dei membri dell’organizzazione sarebbe favorevole alla riammissione di Damasco. Il governo siriano, da parte sua, si è detto disposto a collaborare con le Nazioni Unite per trovare una soluzione politica al conflitto che va avanti dal marzo del 2011. La riabilitazione del presidente siriano sembra essere quindi cosa fatta, tant’è che ad ammettere che Assad potrebbe “rimanere al potere per un po’ di tempo”, è stato addirittura il ministro degli Esteri britannico, Jeremy Hunt. Intanto, anche l’Italia nei giorni scorsi, ha ventilato l’ipotesi di riaprire la propria rappresentanza diplomatica in Siria. “Stiamo lavorando per valutare se e in che tempi questo passo sia necessario”, aveva detto la settimana scorsa il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, subordinando qualsiasi decisione in merito alla “normalizzazione” della situazione nel Paese. La strada, però, a questo punto, sembra essere tutta in discesa.