Ci siamo: secondo il Wall Street Journal il Presidente Usa Donald Trump comunicherà nelle prossime ore la decisione di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo così quest’ultima capitale dello Stato Ebraico. Una mossa che potrebbe mettere in serio pericolo il complesso processo di pace israelo-palestinese e infiammare un Medio Oriente già incandescente. Il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas e il re di Giordania Abdullah II hanno ricevuto oggi la telefonata di Trump in cui il presidente americano ha annunciato la sua intenzione di trasferire l’ambasciata. Successivamente, il presidente degli Stati Uniti ha informato il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi.
Il mondo musulmano ha messo le mani avanti condannando la strategia di Trump, a cominciare dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il quale ha evidenziato come l’eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenti “una linea rossa per i musulmani” – portando alla possibile rottura delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele. Ma mentre Erdoğan si esprime con toni accesi e dirompenti, in Israele sono sicuri: altri paesi – come l’ Arabia Saudita ma anche Egitto e Giordania – si limiteranno a qualche condanna verbale ma accetteranno di buon grado la decisione presa dall’amministrazione Usa. L’unità del mondo arabo e musulmano su questo fronte, insomma, non ci sarà.
Le reazioni del mondo arabo e musulmano
A livello di dichiarazioni ufficiali, come riporta IlSole24Ore, l’Arabia Saudita ha espresso la sua “seria e profonda preoccupazione” per un eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati Uniti: una mossa che, sottolinea il ministro degli Esteri di Riyad, “irriterebbe i sentimenti dei musulmani nel mondo”. Il Segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit ha invitato Trump a “evitare qualsiasi iniziativa capace di mutare lo status giuridico e politico di Gerusalemme”. Secondo il Jerusalem Post, tuttavia, Arabia Saudita, Egitto e Giordania, espresse alcune rimostranze, appoggeranno tacitamente la decisione del presidente Trump e si allineeranno agli Stati Uniti.
“L’amara realtà per i palestinesi – scrive Ben Lynfield – è che i principali paesi arabi – Arabia Saudita, Egitto e persino la Giordania, con la sua maggioranza palestinese e custode dei siti sacri di Gerusalemme – sono semplicemente troppo dipendenti dalla volontà degli Stati Uniti per entrare in conflitto con l’amministrazione Trump. In questo caso i rispettivi interessi nazionali superano di gran lunga la solidarietà araba”. A meno che la situazione diventi inaspettatamente esplosiva, spiega Lynfield, “ci si può aspettare che Riyad, Il Cairo e Amman limitino le loro reazioni a missive verbali”.
Il ruolo di Riyad e la strana alleanza con Israele
Secondo Brandon Friedman, ricercatore e studioso presso il Dayan Center dell’Università di Tel Aviv, il coordinamento tra Stati Uniti e Arabia Saudita è totale. “Se le voci sulla stretta collaborazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita e l’esistenza di un canale diretto tra il principe ereditario Mohammed Bin Salman e il consigliere di Trump Jared Kushner sono vere, allora ci si può aspettare che i sauditi tentino di gestire Abbas”, osserva Friedman. “Inizialmente potrebbe emergere una retorica aggressiva dei sauditi se gli Stati Uniti andranno avanti con il loro piano. Ma se c’è questa unità d’intenti, potrebbe essere compito degli stessi sauditi interloquire con i palestinesi. Non sarà facile”, afferma lo studioso.
Dopotutto, Israele e Arabia Saudita possono sembrare degli alleati improbabili nella politica regionale, ma i recenti sviluppi hanno avvicinato Riyad e Tel Aviv. Il nuovo asse formato da Israele e Arabia Saudita, basato per il momento su rapporti “segreti”, sono da leggersi nell’ottica di un’alleanza contro la Repubblica Islamica dell’Iran ed Hezbollah.
Secondo Kobi Michael, ricercatore presso l’Institute for National Security Studies dell’Università di Tel Aviv, “l’Arabia Saudita si è resa conto che il suo sostegno al processo di pace palestinese è diventato un peso e che ci sono questioni che hanno una maggiore importanza strategica”.