Non fossero bastati i mille errori già commessi da Bruxelles sui vaccini, ecco una nuova buccia di banana sulla quale rischia di sbandare il carrozzone europeo. All’orizzonte, e sempre sul tema vaccini, si profila uno scontro al vetriolo tra l’Unione europea e il Regno Unito. Un testa a testa, in realtà, molto più simile a un regolamento di conti post Brexit, se non addirittura a un velato tentativo europeo di scaricare le colpe su altri soggetti per nascondere i gravi insuccessi fin qui collezionati agli occhi del mondo. In ogni caso, la geopolitica dei vaccini ha infiammato pure l’asse Bruxelles-Londra, di per sé incandescente per strascichi passati.

Tutto è partito dall’Ue, che ha pensato bene di esportare vaccini un po’ ovunque, dimenticandosi di pensare ai 27 Paesi membri. Piccolo, grande problema: questi ultimi, rendendosi conto di esser stati quasi presi in giro, e di non aver più fiale da iniettare ai propri cittadini, hanno iniziato a lamentarsi. Prima le lamentele erano flebili ed educate, poi si sono fatte via via più aggressive. Fino al punto in cui vari governi – vedi Ungheria – hanno deciso di mandare al diavolo (o sono pronti a farlo) i burocrati di Bruxelles per gestire la questione di proprio pugno. La situazione è completamente sfuggita dalle mani dell’Europa, rimasta a secco di dosi, incastrata da accordi dal sapore di beffa con le Big Pharma e con mezzi Paesi membri contro.

La grande beffa

L’ultimo tassello che manca per capire meglio il quadro, e quindi la diatriba con Londra, riguarda la carenza di vaccini. Le intese stipulate tra la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen e le singole case farmaceutiche per l’acquisto delle dosi non sono di pubblico dominio. Ne conosciamo a grandi linee i contenuti solo grazie a indiscrezioni e dichiarazioni di qualche funzionario o politico. Ebbene, Bruxelles avrebbe stretto dei contratti non proprio efficaci, visto che le grandi aziende del farmaco – non organizzazioni benefiche ma, piuttosto, società orientate al profitto – stanno nuotando come squali tra le righe di quei documenti.

Al netto degli accordi presi con l’Europa, stando ad alcune indiscrezioni, quasi tutte le Big Pharma avrebbero pensato bene di congelare il contesto europeo per dedicarsi prima ad altri “clienti“, ovvero Paesi che per ottenere vaccini hanno messo sul piatto molti più soldi di Bruxelles, e per giunta in netto anticipo. Poco importa se l’Ue aspettava 100, 200 o 300 milioni di vaccini da Pfizer, Moderna o da qualunque altra azienda. Riceverà le sue dosi non appena Stati Uniti, Regno Unito, Israele ed Emirati avranno ricevuto le loro fiale. A quanto pare, nei contratti stipulati non ci sono penali. Anzi: il contesto sembrerebbe agevolare questo modus operandi da parte delle aziende del farmaco.

Lo scontro con Londra

Dato il contesto, e vista la penuria di vaccini, l’Unione europea ha deciso di limitare l’esportazione di dosi all’estero. Ebbene, Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha giustificato la mossa dell’Ue spiegando che Bruxelles può benissimo decidere di bloccare le esportazioni di vaccini prodotti sul proprio territorio perché il Regno Unito avrebbe fatto la stessa, identica cosa. Dalle parti di Downing Street sono subito volati tuoni e fulmini. Il governo britannico ha respinto le accuse, bollando, di fatto, come bugie le esternazioni di Michel, mentre il Foreign office ha convocato il rappresentate diplomatico Ue a Londra per chiarire la faccenda.

Nel frattempo, il presidente del gruppo Ppe, Manfred Weber, dall’Europarlamento ha attaccato il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, chiedendogli i dati sulle esportazioni del proprio Paese. “Abbiamo inviato 8 milioni di vaccini Pfizer-BioNTech dall’Europa all’Uk. Quanti ne avete inviati, voi, in Europa?”, ha scritto Weber su Twitter. Questa diatriba potrebbe trasformarsi in un autentico boomerang. Ma non tanto per il Regno Unito, che tra poche settimane avrà sostanzialmente già immunizzato tutta la popolazione, quanto per l’Europa, alla disperata ricerca di vaccini. Molti dei quali potrebbero arrivare proprio dal Regno Unito.

L’ennesimo errore dell’Ue

Lo scenario è paradossale perché Bruxelles, che ha fin qui distribuito i vaccini made in EU un po’ in tutto il mondo (si parla di 25 milioni di dosi in 31 differenti Paesi), si è accorta di non aver più scorte e ha bloccato le esportazioni. Il primo stop, dunque, è stato europeo. Solo che l’Europa non è in condizione di attuare il pericolosissimo sovranismo vaccinale, visto che non è autosufficiente senza che altri Paesi inviino le fiale prodotte nei loro territori.

Come ha sottolineato La Verità, l’Unione europea è stata la prima a bloccare l’export di vaccini, quando a fine gennaio già promuoveva quel meccanismo che ha consentito all’Italia di stoppare l’invio di 250mila dosi di AstraZeneca verso l’Australia. Pfizer e Curevac, inoltre, devono fare i conti con una clausola (questa sì) negli accordi denominata breach of contract. Di che cosa si tratta? Le due aziende non possono deviare negli Stati Uniti le dosi prodotte in eccesso in Europa, rispetto alle commesse concordate con Bruxelles. Pena: la restituzione all’Ue del 50% dell’importo pattuito come risarcimento. Insomma, prima l’Unione europea blocca le esportazioni di vaccini, poi si lamenta se gli altri si comportano di conseguenza.





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