Nella giornata dell’11 aprile sono iniziate in India le operazioni di voto nelle più grandi elezioni della Terra, quelle che porteranno al rinnovo del Lok Sabha, il Parlamento di Nuova Delhi. Un essere umano su otto sul pianeta è iscritto ai registri elettorali del secondo Paese al mondo per popolazione: con 900 milioni di votanti, le elezioni in India vedranno oltre 84,5 milioni di persone in più chiamate alle urne rispetto al 2014, anno in cui il voto portò all’elezione di Narendra Modi alla carica di Primo Ministro.
Il programma di voto prevede una distribuzione della chiamata alle urne spalmata sino al 19 maggio, per permettere anche ai villaggi più remoti e privi di collegamenti elettrici o di rete Internet di essere raggiunti dalle piattaforme mobili di voto. I risultati saranno annunciati il 23 maggio: l’India è stata divisa in 543 collegi uninominali corrispondenti ai seggi in palio, ognuno dei quali vedrà eletto direttamente il candidato depositario della maggioranza relativa dei voti (first-past-the-post). Un sistema spiccatamente maggioritario di matrice anglosassone che, nel composito panorama politico indiano, favorisce l’agglomerazione delle formazioni in coalizioni altamente eterogenee.
In India un referendum su Modi?
Tale è stato il caso del voto nel 2014, che ha visto la prevalenza dell’Alleanza Democratica Nazionale guidata dal Partito del Popolo Indiano (Bharatiya Janata Party, Bjp) di Narendra Modi sull’Alleanza Progressista Unita guidata dallo storico kingmaker della politica indiana, il Partito del Congresso. Nel voto in corso, Adn e Upa rimangono i due principali centri d’attrazione elettorale. E mai nella storia dell’India era successo che il voto divenisse un vero e proprio referendum su un uomo solo, in questo caso il capo del governo uscente.
In questi cinque anni di governo Modi ha cavalcato i consensi della prevalente maggioranza indù, puntando ad amalgamare fieri sentimenti nazionalisti, indirizzati principalmente nei confronti dei principali avversari strategici di Nuova Delhi (India e Pakistan), con un’agenda di politica economica fortemente basata su proposte liberiste (privatizzazioni, liberalizzazioni) e politiche sviluppiste (come la corsa all’elettrificazione delle aree rurali).
Nelle ultime settimane il clima è stato reso pesante dalle tensioni crescenti con il Pakistan e dalla minaccia terroristica, fattori che hanno portato la sicurezza nazionale in cima alle priorità elettorali. Modi ha puntato su una strategia di unità nazionale, in particolar modo, dopo l’attentato suicida di un membro di Jaish-e-Mohammed a Pulwama, in Kashmir, che ha causato 40 morti il 14 febbraio scorso.
Il Bjp cambia registro e punta sulla sicurezza
Questo messaggio “security first“, sottolinea The Diplomat, “va in controtendenza con la vittoriosa campagna condotta nel 2014 dal Bjp, che allora vide Narendra Modi soprannominarsi “l’uomo dello sviluppo”, puntando l’attenzione principalmente sull’economia. Nel 2014 il manifesto politico del Bjp si apriva con i riferimenti ai prezzi in crescita, all’aumento della disoccupazione e alla corruzione, relegando alle ultime pagine i temi securitari”. Temendo analoghe accuse per le difficoltà dell’economia il Bjp ha di recente spostato l’attenzione sulla sicurezza come chiave di volta per il successo elettorale. Anche la scelta di Modi di ordinare attacchi aerei sulle posizioni terroriste in territorio pakistano può essere considerata una vera e propria mossa elettorale.
La mossa, secondo i sondaggi, pare destinata a dare risultati positivi. L’Adn appare saldamente in testa, e il suo obiettivo è avvicinare il più possibile la soglia dei 300 seggi che garantirebbe una navigazione governativa agevole. Tuttavia, permangono molte incertezze: un’elevata affluenza potrebbe consentire all’opposizione di conquistare seggi chiave nelle aree extraurbane in cui Modi ha la sua roccaforte di consensi. Il Partito del Congresso ha affidato proprio ai temi economici che nel 2014 portarono all’ascesa di Modi il centro della campagna elettorale finalizzata a riconquistare l’India: centrale, in questo campo, è la proposta di un reddito minimoda 72mila rupie (1.035 dollari) da offrire al 20% più povero della popolazione indiana.
Scende in campo l’ultimo dei Gandhi
Per sfidare Modi, il Congresso e l’Upa puntano sul carisma dell’ultimo erede della grande famiglia politica Nehru-Gandhi, il 49enne Rahul Gandhi. Pronipote del fondatore dell’India moderna Jawaharlal Nehru, nipote di Indira Gandhi e figlio di Rajiv Gandhi, il leader del Congresso viene dunque da una famiglia che ha dato al Paese tre capi del governo. Entrato in politica come successore della madre e vedova di Rajiv, l’italo-indiana Sonia Maino, Gandhi ha assunto lo scorso anno le redini del partito.
“Nato e cresciuto per governare”, scrive l’Agi, “Rahul Gandhi ha dato diversi grattacapi negli ultimi mesi ai nazionalisti indù del Bjp, che hanno subito dal Congresso una serie di umilianti sconfitte: ha impedito loro di prendere il controllo del Karnataka; inflitto una battuta d’arresto nelle regioni del Rajasthan, del Madhya Pradesh e del Chhattisgarh, tre Stati che saranno cruciali anche per le elezioni generali, e dove il Bjp aveva fatto il pieno di voti nelle legislative del 2014. Infine, nel settembre 2016, ha ingaggiato una violenta polemica con Modi sull’acquisto di 36 velivoli Rafale francesi: lo ha accusato di aver privilegiato, come partner del produttore francese Dassault, il conglomerato privato di un magnate indiano a spese di un’azienda pubblica. Una polemica che non ha avuto strascichi legali ma che ha contribuito a offuscare l’immagine del premier, presentato come alleato dei ricchi e dei potenti”.
Modi probabilmente ha trovato con la carta securitaria l’arma segreta per mobilitare la sua base in vista dell’infinito voto indiano. Ma anche l’opposizione dà segni di vita e, finalmente, presenta un leader capace di sfidarlo sul terreno mediatico e della comunicazione: se c’è un uomo che può arginare la chiamata alle armi emergenziale del Bjp, questo è Rahul Gandhi. La forza della democrazia è anche nella sua imprevedibilità. Più che mai da tenere in conto quando a votare è, in contemporanea, un ottavo del genere umano.