Chissà qual è il pensiero di Al Sarraj mentre il suo aereo sta lasciando Tripoli. È la prima volta che il premier libico vola fuori dal paese da quando la capitale è nel pieno della lotta per il suo possesso. Una battaglia che ha inizio lo scorso 4 aprile e che pone Al Sarraj al centro di una vera e propria dicotomia: da un lato è il capo di governo eternamente messo politicamente e militarmente in discussione, con una capacità di controllo del territorio che non va oltre la sua stanza all’interno del palazzo presidenziale. Dall’altro però, è pur vero che sta lasciando Tripoli non da personaggio in fuga, come in tanti lo vedono da diverse settimane, bensì da capo del governo in visita nei paesi europei.
Da un lato potrebbe mostrare soddisfazione per questo, dall’altro però vive nell’incognita di cosa può accadere nella capitale libica mentre lui è in giro nelle cancellerie europee.
A Roma con il cappello in mano
E questa dicotomia, questo essere al tempo stesso perdente e vincitore, attaccato ed attaccante, Al Sarraj la porta con sé anche quando atterra a Roma. L’Italia è uno dei pochi governi che lo sostiene apertamente, di sicuro in Europa è il suo principale alleato anche perché trecento nostri soldati sono ancora dislocati a Misurata. Inevitabile dunque che la prima tappa del suo breve ma intenso tour europeo sia proprio a Roma. Al suo seguito porta nella città eterna una rappresentanza militare, che fa ben capire cosa vuole Al Sarraj dall’Italia, ma anche cosa forse non si aspetta: un aiuto in termini di fornitura di armamenti per contrastare l’avanzata di Haftar che, oramai da giorni, per la verità appare abbastanza blanda ed entrata in una fase di stallo.
A Roma Al Sarraj incontra Giuseppe Conte, per adesso forse l’unica cosa a cui il premier libico può aspirare è una stretta di mano a favore di telecamera che possa dimostrare il legame tra il suo governo e quello italiano. Da Tripoli nei giorni scorsi emerge un Al Sarraj preoccupato proprio dal suo principale alleato: quelle frasi sull’equidistanza e sull’inclusione di tutte le parti nel conflitto pronunciate dal ministro Moavero Minalesi, al pari di quelle di Conte che la settimana scorsa dichiara di “stare solo dalla parte dei libici”, fanno pensare ad un graduale rovesciamento italiano verso Haftar. Per questo il governo di Tripoli risulta infastidito dall’apertura del consolato italiano a Bengasi, poi “congelata” dalla Farnesina a data da destinarsi.
La sponda italiana per Al Sarraj risulta fondamentale per tornare a Tripoli ancora da leader del governo. Un sostegno politico che in questo momento vale molto più di qualsiasi aiuto militare, visto anche lo stallo che si vive in quel fronte a 25 km a sud della capitale libica in cui nessuna forza riesce a sovrastare l’altra. Alla fine, da parte italiana, Conte ribadisce l’impegno affinché, come si legge nella nota di Palazzo Chigi, “sia rivitalizzato un processo politico che sia efficace e sostenibile”. L’Italia inoltre, dichiara ancora Conte a margine del suo incontro con Al Sarraj, auspica un dialogo tra le parti “sotto l’egida delle Nazioni Unite”. Per il premier libico forse un risultato minimo comunque non scontato alla vigilia. Di certo però, le preoccupazioni da parte sua permangono e fanno compagnia ai dubbi sulla reale posizione italiana.
Il proseguo del tour europeo
E qui si ritorna alla dicotomia sopra citata. Al Sarraj di fatto a Roma elemosina aiuti politici e militari, ma al tempo stesso sa pure di presentarsi come colui capace di rimanere in sella anche durante gli assalti di Haftar. Dopo la capitale italiana, è la volta di Berlino, Londra e soltanto alla fine Parigi. In questo suo tour, gioca (e lo fa con scientifica cognizione) le sue carte. Prova in primis con la diplomazia, incontrando tutti i più importanti leader del vecchio continente, ma non è da trascurare la sua azione sotto il profilo mediatico. Al Sarraj infatti prende l’aereo da Tripoli a pochi giorni dall’inizio del Ramadan, da quella festività religiosa islamica vista dall’alto rappresentante Onu in Libia, Ghassan Salamé, come possibile data spartiacque per una tregua. Al Sarraj arriva in Europa da politico in cerca di dialogo, provando a far passare il messaggio secondo cui è lui l’unico attore che vuole la pace in Libia, al contrario di un generale Haftar presentato come “invasore” che attacca anche durante il Ramadan.
Il premier libico da questo elemento spera di essere quel “volto presentabile” capace di persuadere, se non i più importanti attori internazionali, almeno l’opinione pubblica. Al Sarraj vola quindi tra le capitali europee con lo stesso spirito di chi vuol dimostrare di aver imparato a fare il suo mestiere, di aver appreso in questi tre anni di governo come si resta in sella nonostante non si controlla alcun territorio. Ma sa pure che si sta giocando le ultime carte: lui, nella morsa di Haftar ma anche di quella delle milizie islamiste che combattono al fronte contro il generale che potrebbero voler la sua testa a guerra conclusa, prova a giocare ancora nel ruolo di premier. In mezzo a questo dualismo ed a questa dicotomia, vi è lo stallo di un conflitto ancora ben lontano da ogni risoluzione.