Domenica elettorale per il Brasile che si reca alle urne per eleggere il presidente nel ballottaggio tra l’ex capo dello Stato Lula, membro del Partito dei Lavoratori che sogna il grande ritorno della Sinistra al potere, e l’uscente Jair Bolsonaro. Un voto che rappresenta la resa dei conti dopo il primo turno tenutosi il 2 ottobre.

Tra Bolsonaro e Lula sarà arrivo in volata

Un voto, in primo luogo, che sarà contestato fino all’ultimo. Non dimentichiamo che Lula era dato sicuro vincente al primo turno da molti sondaggi ma ha soltanto sfiorato il trionfo. Con 57 milioni di voti ha ottenuto il 48,43%, ma il Presidente uscente ha superato i 51 milioni di suffragi e il 43,20%. Partita apertissima: il fatto che al primo turno tra bianche e invalide le schede non conteggiate siano state quasi 5,4 milioni aggiunge incertezza.

Forte del sostegno di molte celebrità alla sua piattaforma law and order e a una buona prestazione nei dibattiti, inoltre, Bolsonaro è riuscito a ricolmare il gap con Lula in vista del secondo turno. L’esito sarà in volata. Il sondaggio Atlas del 26-29 ottobre assegna a Lula il 52,5% dei voti contro il 47,5% di Bolsonaro e un numero di indecisi (1,5%) troppo basso per ricucire il varco. Per Paranà Pesquisas, invece, il vantaggio sarebbe più stretto: 50,4% contro il 49,6% con un numero di indecisi notevole, il 6,6% del corpo elettorale. Infine, sono apparsi perfino sondaggi che danno Bolsonaro avanti: secondo la rilevazione ModalMais/Futura del 24-26 ottobre ci sarebbe, nel corpo elettorale, il 47,2% di votanti destinati a scegliere Bolsonaro, il 46,6% di lulisti e il 6,1% di indecisi.

Un voto, inoltre, enormemente drammatizzato dai contendenti che mostra la difficoltà di uno dei Paesi un tempo più rampanti del G20 a guardare avanti. Si fronteggiano l’ex capitano dell’Esercito Bolsonaro, nostalgico della dittatura militare (1964-1985) e che fonda la sua agenda politica su sicurezza, ordine e libertà d’impresa per rimediare a quelle che ritiene essere le nefandezze del lascito di Lula, e l’ex sindacalista Lula, che di quella dittatura era avversario ma che al contempo richiama nella sua agenda a un’età dell’oro associata alla sua presidenza e che nacque su ben altri presupposti.

Una campagna polarizzante

Bolsonaro ha ripetutamente definito Lula un bugiardo e ha sottolineato gli scandali di corruzione che hanno offuscato i 14 anni in cui il Partito dei Lavoratori (PT) dell’ex presidente ha governato dal 2003 al 2016. “Lula, sei un truffatore”, ha detto Bolsonaro al recente dibattito in televisione. “Il vostro governo è stato un campione di corruzione”. Lula, uomo di Sinistra moderato che ha stretto alleanze con i socialdemocratici di Gerardo Ackim, ex candidato alla presidenza, e con i partiti democratico-cristiani figli della Teologia della Liberazione, è presentato da Bolsonaro e dai suoi seguaci come un pericoloso comunista che porterà il Brasile ad allearsi con Paesi come il Venezuela di Nicolas Maduro e il Nicaragua di Daniel Ortega.

Venerdì, il principale alleato internazionale di Bolsonaro, l’ex presidente Usa Donald Trump, ha sostenuto apertamente Bolsonaro e esortato i brasiliani a non riportare al potere Lula, “un pazzo di sinistra radicale che distruggerà rapidamente il vostro paese”.

Lula, dal canto suo, ha costruito buona parte della campagna elettorale su uno stereotipo opposto, quello del Bolsonaro “fascista” pronto a scatenare un colpo di Stato in caso di sconfitta partendo dalle dichiarazioni di suoi fedelissimi. Gli interventi della Sinistra in questo campo sono cresciuti la scorsa settimana dopo che il senatore Flavio Bolsonaro, uno dei figli del presidente, ha affermato che suo padre rischia di essere vittima della “più grande frode elettorale mai vista” sciorinando un linguaggio quasi identico a quello di Trump dopo aver perso le elezioni statunitensi del 2020 contro Joe Biden. Un altro senatore pro-Bolsonaro, Lasier Martins, ha twittato: “Posticipare le elezioni è l’unica soluzione!”

Il dilemma Amazzonia

Al dibattito di venerdì, Bolsonaro ha però gettato acqua sul fuoco ricordando che “vincerà colui che otterrà il maggior numero di voti”, ha detto, dichiarandosi certo di esserne in grado. Questo ha tolto buona parte delle armi di propaganda ai lulisti più duri e puri.

Resta l’indubbio carisma e standing del Presidente del rilancio del Brasile, che peraltro è stato abile a sfruttare a suo favore la scarsa popolarità di cui gode Bolsonaro in ambito internazionale per, ad esempio, politicizzare questioni come quella dell’Amazzonia, che il capo di Stato in carica è accusato di voler distruggere, facendo dimenticare i tempi in cui, era il 2005, nientemeno che Greenpeace lo premiava con la “Motosega d’oro” in quanto maggior contributore alla deforestazione amazzonica.

Nel 2004 andò persa un’area di foresta amazzonica di 27mila chilometri quadrati, più grande della Lombardia, e anche dopo le prime misure concrete Lula finì il suo mandato scendendo solo nel 2010 sotto i 10mila chilometri distrutti all’anno, vicino al risultato di Bolsonaro che nel 2020 ha autorizzato deforestazioni per 10.850 chilometri quadrati e nel 2021 per 13.200 chilometri quadrati.

Le sfide di un possibile Lula-ter

Quel che è certo è che sia un eventuale terzo mandato di Lula che un secondo di Bolsonaro saranno radicalmente diversi da quelli precedenti degli stessi leader. Nel lulismo si è accentuata la carica riguardante l’integrazione latinoamericana con gli altri governi di Sinistra. Ma dal 2010 a oggi molto è cambiato: il commercio intraregionale ammontava a oltre il 20% delle esportazioni totali dell’America Latina nel 2008, ma questa quota è diminuita di un terzo ed è destinata a diminuire ulteriormente con l’aumento delle esportazioni di materie prime verso la Cina.

Inoltre la marea del Socialismo del XXI secolo di inizio millennio che ebbe in Lula il suo volto moderato portò il presidente a confrontarsi con personaggi carismatici come Hugo Chavez e Evo Morales, molto diversi da presidenti come Gabriel Boric e Gustavo Petro che sembrano aver più a cuore l’ecologismo e la tutela del fronte interno di Paesi come Cile e Colombia a grandi strategie regionali. Per rilanciare l’economia nazionale, infine, Lula pur da Sinistra non potrà fare a meno di rafforzare il ruolo dei “campioni nazionali” come Petrobras, Odebrecht e Queiroz Galvão in tutta l’America Latina, e questo alla luce dell’ondata passata di scandali del Pt non passerà certamente inosservato.

Il Bolsonaro-bis? Sarebbe radicalmente conservatore

Sul fronte della destra, la “fazione ideologica” e reazionaria del governo di Jair Bolsonaro, temporaneamente indebolita dalla cacciata del ministro degli Esteri Ernesto Araújo e del ministro dell’Istruzione Milton Ribeiro, ha ricevuto recentemente una spinta significativa dalla performance elettorale stellare di voci radicali come l’ex ministro della Famiglia Damares Alves, Magno Malta e Jorge Seif, che hanno conquistato seggi al Senato.

“Ci si potrebbe quindi aspettare”, nota Americas Quarterly, “che una seconda amministrazione Bolsonaro ponga maggiore enfasi sul conservatorismo sociale e sulle guerre culturali, mentre la retorica anti-cinese scomparirebbe in gran parte, dal momento che il Brasile dipenderebbe sempre più da Pechino dato che il suo isolamento diplomatico in Occidente quasi certamente si approfondirebbe”. L’anti-cinese e trumpiano Bolsonaro avrebbe necessità di un accordo con Pechino su diversi campi più di Lula, che anzi della penetrazione cinese nel cortile di casa brasiliano avrebbe da lamentarsi.

Una vittoria di Bolsonaro garantirebbe inoltre al presidente di ottenere un sostegno più ampio da parte del legislatore e dei governi statali, dove numerosi alleati del capo dello Stato hanno trionfato il 2 ottobre. In effetti, il Partito Liberale, di cui il presidente fa parte, vanterà ben 99 rappresentanti (su 513) al Congresso, risultando il più grande nella prossima legislatura. Inoltre, Bolsonaro si garantirebbe un controllo prospettico sul Paese e le sue leggi future risultando in grado di nominare due giudici aggiuntivi alla Corte Suprema e potenzialmente anche tentare di fare pressione sull’indipendenza della corte.

La politica appiattita sui due leader-tribuni

Parliamo dunque di mandati “personalistici” prima ancora che facenti riferimento a ampie coalizioni sociali e politiche. Lula a inizio millennio univa la rappresentanza del proletariato urbano, quella dei campesini, delle cooperative cattoliche e di una borghesia progressista metropolitana desiderosa di riscatto; Bolsonaro, ancora nel 2018, plasmò attorno a sé il consenso di fazendeiros, comunità evangeliche e dello stesso ceto medio ritenuto tradito dal Pt. Oggi, più che mai, i driver politici sembrano essere l’ostilità alla Sinistra per Bolsonaro e l’anti-bolsonarismo per Lula. Fonte di una polarizzazione elettorale che al primo turno ha fatto piazza pulita di ogni altra possibile candidatura, ma che mostra le fratture di un Paese in cui circa metà della popolazione, comunque vada, odierà o maltollererà il Presidente eletto.

Come scrivevamo commentando a caldo il voto del 2 ottobre, il gigante verdeoro è reso fragile da questa sua stessa polarizzazione politica, che unita alla crisi incombente sull’economia e alle problematiche legate all’eredità del Covid-19 in termini di disuguaglianze, servizi e costi sociali può creare le basi per una serie di turbolenze sociali che sul divisionismo tra i due tribuni che ambiscono a guidare il Paese può apertamente radicarsi negli anni a venire.

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