Una nave ospedale cinese ormeggia non lontano da Caracas per portare aiuti e medicine al popolo venezuelano. Nelle stesse ore, la Usns Comfort arrivava in Colombia ed Ecuador per una missione di stampo politico diametralmente opposto: fornire aiuti a Bogotà per i profughi che arrivano dal Venezuela. Maduro, due mesi fa, ha rifiutato l’attracco.
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Una scelta opposta ma che dimostra quanto l’invio di un carico di aiuti, medicinali o medici possa significare tantissimo. E come, anche di fronte all’aiuto nei confronti della popolazione, vi siano chiari messaggi politici e di sfere d’influenza.
Perché aiutare aiuta. Aiuta chi riceve il supporto medico e sanitario,quindi lo Stato e la popolazione civile. Ma aiuta anche lo Stato che invia quel determinato carico di aiuti umanitari, che automaticamente assume una posizione di potenza benefica o in qualche modo amica. È stato così anche nella guerra in Siria.
Gli aiuti di Israele ai ribelli siriani
Israele ha fornito per anni aiuti alla popolazione alle frange ribelli del sud che combattevano contro il governo di Damasco, supportando militarmente ma anche a livello umanitario tutta quella fascia di popolazione a nord del confine con lo Stato ebraico. L’operazione Good Neighbor delle Israel defense forces, interrotta solo in questi ultimi giorni, aveva lo scopo strategico di creare un asse con i ribelli del Sud della Siria per riuscire a creare un cuscinetto con le forze pro-Iran. Ma anche per creare una rete di partnership in caso di vittoria del fronte ribelle nei confronti di Damasco.
La fine degli aiuti umanitari ai ribelli del Sud e alle popolazioni locali non si è fermata perché le popolazioni non hanno più bisogno di sostegno. È finita perché ne è terminata l’utilità: il governo siriano ha riconquistato Daraa e Quneitra. E adesso il governo israeliano non ha più motivo di aiutare una popolazione che è tornata sotto un governo sostanzialmente nemico.
Gli aiuti umanitari russi
Dall’altro lato della barricata, gli aiuti umanitari russi sono serviti a sostenere la popolazione siriana sotto il governo di Bashar al Assad colpita da anni di guerra e privazioni, cui si è aggiunto il terribile embargo da parte di molte potenze occidentali che flagella la popolazione siriana. Mosca ha rifornito di aiuti umanitari la popolazione siriana, sia quella da sempre sotto il governo, sia delle aree tornate di nuovo sotto il controllo di Damasco dopo la guerra: come avvenuto per esempio nella Ghouta orientale.
L’accordo Francia-Russia sulla Ghouta orientale
La stessa area è stata oggetto di un accordo molto interessante siglato fra Russia e Francia per l’invio di aiuti congiunti nella zona tornata sotto il controllo dell’esercito governativo. A luglio di quest’anno, un aereo militare russo, un Antonov 124, è decollato dall’aeroporto della città francese di Chateauroux a luglio con a bordo 50 tonnellate di aiuti umanitari. Atterrato nella base di Khmeimim in Siria, l’aereo avrebbe poi trasferito gli aiuti agli uffici dell’Onu preposti alla distribuzione degli aiuti, la Ocha.
Nella dichiarazione congiunta franco-russa, riportata dal quotidiano britannico Telegraph, si legge: “l’assistenza umanitaria è una priorità assoluta e deve essere distribuita secondo i principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza in tutto il territorio siriano senza eccezioni, dove il diritto internazionale umanitario deve essere pienamente rispettato”.
Ma è chiaro che questa nota nasconde una realtà ben diversa: gli aiuti servivano alla Francia per dimostrare alla Russia di essere un partner affidabile e per inserirsi nel complesso gioco degli aiuti all’interno della Siria. Un gioco difficile, dove chi detiene gli aiuti, detiene l’influenza sull’area e su quella determinata popolazione. E Parigi, per anni sostenitrice esclusiva dei ribelli e presente militarmente nel nord-est della Siria e nel Mediterraneo orientale, serve far capire alla popolazione siriana di essere un Paese che “si interessa” alle condizione di vita della popolazione.
La Turchia e Idlib
La roccaforte jihadista di Idlib è uno dei simboli della politica sugli aiuti umanitari in Siria. Anche in questo caso, gli aiuti sono diventati strumento di influenza e di spartizione di controllo. Recep Tayyip Erdogan voleva da subito mostrarsi come il leader amico delle frange ribelli della provincia a sud del confine turco. E per farlo, non solo ha imposto il suo controllo sull’area di de-escalation, ma ha anche avuto il pieno controllo degli aiuti umanitari. La costruzione dei punti di osservazione dell’esercito turco (oggi se ne contano 12) è andata di pari passo con il controllo del confine e del passaggio di convoglio per sostenere la popolazione e le forze ribelli.
E questo controllo è stato praticamente ininterrotto fino ad oggi, quando l’accordo fra Vladimir Putin ed Erdogan sulla tregua di Idlib ha dato modo ai convogli dell’Onu di raggiungere la provincia. Ma sempre sotto l’occhio vigile di Ankara, visto che, come riporta L’Osservatore Romano, “Ventinove mezzi carichi di alimenti e medicinali sono passati attraverso il valico di Cilvegözü nella provincia meridionale di Hatay”. È quindi sempre Erdogan a controllare il passaggio dei mezzi per gli aiuti, anche se sono delle Nazioni Unite. E di fatto ha le chiavi per la sopravvivenza delle fazioni asserragliate nell’ultimo ridotto ribelle.
L’Italia in Niger: un esempio di strategia degli aiuti
L’Italia è esclusa da questa logica strategica degli aiuti umanitari? Non del tutto. E l’esempio ci viene proprio dal Niger, dove di recente sembra si sia sbloccata la missione dei nostri militari. Il governo italiano ha ingaggiato con quello francese una sfida molto complicata per strappare a Parigi la leadership sul Paese del Sahel. Sfida complicatissima: ma in questo caso anche l’Italia ha giocato la carta degli aiuti.
Come scritto su questa testata, la diplomazia degli aiuti umanitari di Roma ha prodotto un volo di un Boeing Kc-767 arrivato ad aprile a Niamey carico di medicinali. Mentre ad agosto, ” è arrivato un altro aereo, un C-130J con un carico di circa sette tonnellate di farmaci, presidi medici e un sistema per la depurazione dell’acqua”. Gli aiuti servono al governo nigerino per rispondere al colera. Ma servono anche all’Italia per estendere la sua rete di contatti, influenza e far capire di essere una potenza pronta a sostenere il governo e la popolazione locale. E con le elezioni del Paese africano alle porte, strappare accordi aiuta la strategia di penetrazione in Africa.