La vittoria di Jair Bolsonaro alle elezioni presidenziali brasiliane e la conquista di 57 milioni di voti nel ballottaggio contro Fernando Haddad da parte dell’ex capitano dei paracadutisti ha rappresentato una delle sorprese più salienti dell’anno nel contesto internazionale.

Bolsonaro, 63enne tutt’altro che debuttante nel mondo della politica brasiliana che frequenta da tre decenni, ha vinto in un Paese letteralmente sconvolto, negli ultimi anni, dalla crisi economica, dalla completa delegittimazione di una classe dirigente travolta dalle inchieste sulla corruzione, dall’instabilità sociale e dall’aumento vertiginoso della criminalità organizzata. 

La triade formata da sicurezza, liberismo economico e conservatorismo sociale, molto spesso marcato da frasi oscene verso le minoranze, ha attratto su Bolsonaro il consenso di una nuova forza politica del Paese: l’elettorato evangelico e pentecostale. A questo si è aggiunto il decisivo sostegno accordato a Bolsonaro da parte della grande impresa agraria, dei fazendeiros che sono stati conquistati dalla proposta di una vera e propria deregulation ambientale e dalla prospettiva di una nuova “corsa all’oro” per l’agrobusiness nelle foreste vergini dell’Amazzonia e nel cerrado del Mato Grosso.

Vinto il voto popolare, ora Bolsonaro dovrà amministrare. E per riuscire a condurre in porto una componente significativa del suo programma ciò implicherà una mediazione costante in un Parlamento letteralmente balcanizzato.

La divisione nel Congresso nazionale principale ostacolo per Bolsonaro?

In Brasile è sempre stato comune il fatto che il partito di cui è espressione il presidente non riesca a conquistare una maggioranza assoluta nei due rami del Congresso, la Camera e il Senato. Questo perché il sistema a lista aperta con voto di preferenza in distretti elettorali ampi ed eterogenei facilita una frammentazione pulviscolare della rappresentanza e, al tempo stesso, la debolezza della struttura partitica brasiliana rende molto spesso la sua coesione interna inferiore a quella dei gruppi di interessi trasversali che si creano da destra a sinistra.

Il Partito Social Liberale (Psl) di Bolsonaro ha guadagnato 44 seggi rispetto al 2014 e ora, con 52 deputati eletti, è secondo alla sola compagine del Partito dei Lavoratori, che ne detiene 56. In un’assemblea di 513 membri, ben otto formazioni di diversa estrazione detengono 30 seggi o più, e in totale una trentina di formazioni hanno ottenuto rappresentanza parlamentare.

Sarà dunque vitale, per Bolsonaro, compattare nelle sue varie proposte governative una maggioranza solida capace di superare la dispersione della rappresentanza. In questo contesto, la politica dei “fronti comuni” sperimentata nella costituzione del blocco sociale di supporto al candidato presidenziale di destra potrebbe aiutare su numerose proposte legislative. Per facilitare la sua azione, il Presidente dovrà anche saper mediare in sede di costituzione della sua amministrazione, aprendo all’inclusione di membri delle formazioni liberali, come i Progressistas. o i conservatrici, come il Partito della Repubblica.

Guedes, l’uomo chiave di Bolsonaro: la sua agenda è applicabile?

Decisivo per l’accreditamento di Bolsonaro di fronte ai mercati brasiliani ed internazionali è stato il ruolo giocato da Paulo Guedes, annunciato come ministro dell’Economia nel nuovo governo del Paese,  esponente della scuola economica dei “Chicago Boys” che ebbe il suo capostipite in Milton Friedman. Guedes, in ossequio ai dettami della sua scuola, ha proposto per la campagna elettorale di Bolsonaro un’agenda economica di chiara impronta neoliberista, fondata su drastici tagli alle tasse alle imprese, alla spesa pubblica e ai programmi sociali applicati dal Partito dei  Lavoratori nei suoi anni di governo.

Carlo Cauti ha dichiarato a Tempi che “la vittoria di Bolsonaro è la sconfitta del Pt su tutta la linea. La maggioranza dei brasiliani non ne può più delle politiche socialiste. Il Brasile sta attraversando la peggior crisi economica della sua storia, peggio di quella del ’29. La disoccupazione è al 13 per cento, il Pil è crollato, il reddito pro capite è diminuito del 40 per cento. La produzione industriale è un disastro”. Al tempo stesso, il risultato di Haddad al ballottaggio, nel quale il leader della sinistra ha preso più del 45%, è spiegato da Cauti con la performance positiva nei poveri Stati del Nord-Est: “se in quei territori tutti votano Pt è perché le famiglie ricevono sussidi elevatissimi, che si potrebbero definire tranquillamente “acquisto di voti”. Il Pt ha resistito solo per questo zoccolo duro, altrimenti sarebbe stato spazzato via”.

Guedes e Bolsonaro dovranno mediare

Come scrive L’Indro, “il futuro ministro dell’Economia punta sulle privatizzazioni per ridurre il grande debito (77,3% del Pil) e sull’introduzione di un sistema pensionistico a capitalizzazione. Guedes promette che venderà tutte le società statali per ottenere 1 trilione di reais (230 miliardi di euro) e zero disavanzi pubblici in un anno. La proposta è considerata illusoria dagli analisti e dagli economisti, considerando tutti i conflitti legali e la necessità di approvazione da parte del Congresso”. Fatto che ci riporta a quanto detto in precedenza: è al Congresso che Bolsonaro e Guedes dovranno subire gli ostacoli più grandi per i loro disegni economici.

L’agenda radicale di Bolsonaro non esclude la sfera della politica estera, e in questo contesto è possibile che la svolta favorevole al mondo della finanza brasiliana a radicamento occidentale possa creare dei malumori negli alleati economici del Brasile del gruppo Brics.

Come riporta il Manifestopoco dopo la vittoria elettorale Guedes “ha dovuto calmare i diplomatici cinesi infuriati perché Bolsonaro contestava l’acquisto di miniere e dighe che la Cina aveva appena pagato miliardi di dollari. Sarà curioso vederli spingere verso il radicalismo reaganiano un parlamento di 30 partiti. E chissà chi sarà a spingere e chi a guidare davvero”. La strada tra la retorica infiammata di Bolsonaro e l’influenza reale sulla situazione politico-economico brasiliana si preannuncia in salita. E ci permettiamo di dubitare delle capacità di mediazione di un leader che, in trent’anni di attività parlamentare, ha visto convertite in legge solo 2 delle 173 proposte di legge propositate.

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