A dicembre Mogadiscio è stata colpita da una serie di attacchi terroristici, uno di questi ha causato 80 vittime. Troppe, anche per un paese come la Somalia quasi “abituato” alla morte dopo anni di guerre ed instabilità. Un episodio che ha scosso ulteriormente il morale di una popolazione in costante affanno nella ricerca di una certa normalità. Così come fatto notare da Raffaele Perfetto su Startmag, poche ore dopo gli attentati terroristici, a Mogadiscio sono arrivati medici e soccorritori turchi. Un dettaglio quest’ultimo che può aiutare a spiegare cosa sta accadendo, negli ultimi anni, lungo l’asse tra il paese africano e quello anatolico.
“Pronti ad esplorare idrocarburi in Somalia”
Nei giorni scorsi, dalla Turchia hanno annunciato un accordo con Mogadiscio il quale, sia per tempistiche che per contenuti, non è molto dissimile da quello firmato tra Ankara e Tripoli lo scorso 27 novembre. In particolare, si fa ampio riferimento alla possibilità, da parte del governo turco, di andare ad esplorare le risorse energetiche all’interno del territorio somalo. Non solo sulla terraferma, bensì anche offshore. Il paese africano potrebbe possedere importanti giacimenti, non ancora del tutto scoperti e di conseguenze sfruttati. La Turchia, in questo modo, si è garantita il diritto di poter accaparrarsi prima degli altri paesi i proventi delle risorse energetiche somale.
Una politica in linea con quella che il presidente turco Erdogan ha sviluppato nel Mediterraneo, non solo con il sopra ricordato memorandum con la Libia, ma anche con le rivendicazioni sui giacimenti di gas cipriota che Ankara sta portando avanti da qualche mese a questa parte. La Turchia ha bisogno di sempre più risorse energetiche per provare a riprendere in mano un’economia decisamente traballante. Ma non solo: la linea del paese anatolico è dettata dal desiderio di contare sempre di più nelle zone più strategiche. Ed il Mediterraneo, così come il corno d’Africa, lo sono.
Un altro Paese “soffiato” all’Italia
Ma Ankara in Somalia è presente già da diversi anni e non solo nel settore energetiche e degli idrocarburi. Una società turca gestisce, ad esempio, il porto di Mogadiscio, così come sono aziende turche quelle che stanno costruendo infrastrutture ed ospedali in un paese che, a causa della cronica instabilità, da anni soffre della mancanza di opere basilari. Da queste parti, non mancano nemmeno soldati turchi: dal 2017, il paese anatolico ha qui installato una base per l’addestramento dell’esercito locale impegnato contro i terroristi di Al Shabaab.
Tra Turchia e Somalia vi è dunque una forte partnership, partita da lontano e grazie alla quale Ankara ha saputo ritagliarsi un proprio spazio all’interno del paese. Il tutto, facendo gradatamente diventare marginale il peso dell’Italia. La Somalia, come si sa, non solo è stata una nostra colonia prima della seconda guerra mondiale, ma fino al 1960 ha rappresentato un territorio amministrato proprio dal nostro paese. Anche per questo motivo i legami con questa strategica nazione del corno d’Africa sono sempre stati molto stretti, sia da un punto di vista economico che culturale. A dimostrarlo è stata, peraltro in modo anche drammatico, la storia recente: nel 1993, dopo la caduta di Siad Barre, l’Italia ha inviato un proprio contingente non ben visto dagli americani da poco sbarcati nel paese. Una missione, quella di oramai più di un quarto di secolo fa, rimasta tristemente famosa anche per l’episodio del check point Pasta, dove sono rimasti uccisi tre soldati italiani.
Oggi la storia della nostra presenza in Somalia, è molto simile a quanto sta accadendo più recentemente in Libia. Un paese tradizionalmente vicino all’Italia cioè, che viene attratto sempre di più verso la Turchia, con Roma incapace di recepire ed interpretare il corso degli eventi. Peraltro, tra il caso somalo e quello libico vi è un’altra inquietante somiglianza: a Mogadiscio, come in Tripolitania, abbiamo sul campo dei soldati che ogni giorni rischiano la vita. Una presenza che però, sotto il profilo politico, non riusciamo a capitalizzare.