Instabilità politica, contrazione dell’economia nazionale e problema sanitario causato dalla pandemia, è quanto sta vivendo in questo periodo il Perù. In meno di una settimana lo Stato sudamericano vede il Congresso votare il suo terzo Presidente, dopo l’impeachment nei confronti di Martin Vizcarra e le dimissioni forzate di Manuel Merino. Ora il nuovo incaricato, Francisco Sagasti, si trova di fronte a un compito estremamente arduo: riunire il Paese, sconvolto dalle proteste iniziate lo scorso martedì 10 novembre, rallentare la diffusione del coronavirus, adottare politiche che frenino i danni all’economia peruviana e, infine, condurre il Paese alle prossime elezioni generali che si terranno nell’aprile del 2021.

Vizcarra e il “golpe” del Congresso

Il rapporto tra l’ex Presidente e il Congresso è sempre stato conflittuale fin dal 2018, quando Vizcarra aveva assunto l’incarico a seguito delle dimissioni di Predo Pablo Kuczynsi. Lo scorso luglio l’allora Presidente aveva annunciato una serie di riforme costituzionali che avrebbe dovuto, tra le altre cose, contrastare la corruzione presente nel Paese. Nei fatti il tentativo ha condotto allo scioglimento del Parlamento, accusato di aver ostacolato il processo riformatore, e a elezioni anticipate. Un anno dopo si è presentata una situazione simile a ruoli invertiti: il 12 settembre il Congresso ha votato per l’apertura del procedimento di impeachment nei confronti del 57enne Vizcarra per “incapacità morale”, da questi commentato come un “tentativo di destabilizzare il governo” e il suo lavoro. Il primo tentativo di rimuovere la più alta carica del Perù fallisce sette giorni dopo, quando il Parlamento respinge la mozione. Si è invece concluso diversamente il voto del 10 novembre, quando 105 parlamentari hanno votato a votato a favore della rimozione di Vizcarra dalla carica di Presidente dopo la rivelazione di nuove accuse mosse nei suoi confronti: stando ai pubblici ministeri quest’ultimo aveva ricevuto una tangente di 280mila dollari da una compagnia edile quando ricopriva l’incarico di governatore.

Le accuse sono state prontamente respinte da Vizcarra che, tuttavia, ha accettato la decisione del Congresso affermando di lasciare l’incarico “con la coscienza tranquilla” e sottolineando come “ogni volta che tu provi a sconfiggere il virus della corruzione, quello si difende attaccando”. A ogni modo la mossa del Parlamento non è passata inosservata ai peruviani che fin dal prime ore si sono riversate nelle strade della capitale, Lima, e in altri centri urbani del Paese, in segno di protesta contro una manovra che secondo l’opinione popolare è stato un vero e proprio golpe. Il supporto manifestato dalla popolazione non può stupire. Già in settembre un sondaggio condotto dall’agenzia Ipsos evidenziava come il 79% dei peruviani fosse d’accordo sulla conclusione del mandato da parte di Vizcarra.

Il Perù in protesta, Merino si dimette

L’incarico di Presidente è stato automaticamente assunto da Manuel Merino, speaker del Parlamento e accusato da Vizcarra di cospirazione dopo il primo tentativo di impeachment. Una figura ritenuta, come scrive El Mundo, fin “dal primo giorno come un politico moribondo in vita attraverso la respirazione assistita della macchina del Congresso”, senz’altro poco adatto a far fronte alle necessità del Perù, come dimostrato dalla scelta di reprimere le manifestazioni con la forza. Gli scontri tra manifestanti e polizia hanno dato vita a una guerriglia per le strade di Lima e hanno portato alla morte di due giovani e al ferimento di circa 100 persone. La scelta è stata criticata aspramente dall’ex Presidente ma anche dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha comunicato l’apertura di una missione “per indagare su possibili violazioni delle libertà fondamentali“. L’aggravarsi della situazione nel Paese, a causa perlopiù del modo in cui sono state gestite le proteste, ha portato il Parlamento a spingere per le dimissioni di Merino, annunciate brevemente in televisione il 15 novembre e accolte favorevolmente dai peruviani scesi in piazza, come riporta El Periodico.

Il difficile compito di Francisco Sagasti

La nomina del nuovo Presidente è stata seguita con particolare interesse sia dai manifestanti che dagli economisti, preoccupati dalla crisi istituzionali che ha spostato l’attenzione dai problemi che affliggono il Paese. Alla fine la scelta del Congresso è ricaduta su Francisco Sagasti, parlamentare con il Partido Morado e ritenuto da “molti analisti una persona ragionevole” e adatta a condurre il Paese alle prossime elezioni. A suo favore ha giocato senz’altro il fatto di essersi espresso contrario alla rimozione di Vizcarra, votando contro la mozione presentata in novembre. Nel suo discorso al Congresso Sagasti ha voluto ribadire come “oggi non è un giorno di feste, perché abbiamo assistito alla morte di due giovani che stavano protestando”, manifestando vicinanza a chi nei giorni scorsi è sceso in piazza.

La prima sfida del nuovo Presidente infatti sarà riunire nuovamente il Paese per poi condurlo ad affrontare da una parte la crisi sanitaria e dall’altra la crisi economica, causate entrambe dall’attuale pandemia. Quest’ultima, in ogni caso, ha messo in luce tutte le criticità del sistema sanitario peruviano, evidenziando la mancanza di lungimiranza dell’attuale e dei precedenti governi. A oggi il Perù, stando ai dati elaborati dalla John Hopkins University, è il terzo Paese per il tasso di mortalità ogni 100mila abitanti. A ciò si aggiunge la crisi economica: secondo l’ultimo rapporto stilato dall’Istituto di Statistica e Informatica del Perù, nel terzo trimestre del 2020 la popolazione occupata è diminuita del 17,2%, con la perdita di lavoro per circa 3 milioni di persone. Affrontata la crisi politica, la strada per il nuovo Presidente sarà ancora in salita.