Non si ferma la guerra, ma il paese sì: il governo libico guidato dal premier Fayez Al Sarraj ha decretato nelle scorse ore lo stato d’emergenza a partire da lunedì, giornata in cui verranno chiusi porti ed aeroporti, oltre che scuole, bar e sale per le feste. Il tutto per impedire che un paese martoriato dal conflitto come la Libia, possa ricevere anche eventuali contagi da coronavirus. Una circostanza comunque che pone non poche perplessità: difficile capire come un governo che ha a malapena il controllo della capitale, possa far rispettare severe norme sociali e sanitarie, tuttavia la scelta di Al Sarraj ha mostrato come non è soltanto la guerra a preoccupare per il momento i libici. Anche perché nell’altra parte del paese, quella de facto amministrata dal governo insediato ad Al Beyda e dal parlamento di Tobruck, bracci politici del generale Khalifa Haftar, sono state prese analoghe decisioni volte alla prevenzione di una possibile epidemia da Covid-19.
Porti ed aeroporti chiusi
La preoccupazione sia delle autorità dell’ovest che dell’est del paese, è più che legittima. Una Libia in guerra da 9 anni, non avrebbe molte possibilità di contrastare un’eventuale avanzata del coronavirus. Le strutture sanitarie sono carenti e sono peraltro già in sofferenza per via della guerra, che ogni causa feriti da ogni parte. Per questo quindi si prova a correre ai ripari. La capitale Tripoli sarà ancora più isolata, visto che adesso l’aeroporto di Mitiga verrà completamente chiuso dopo che per mesi lo scalo è stato funzionante soltanto quando il conflitto concedeva tregua e permetteva adeguate condizioni di sicurezza. Per arrivare in città si atterrava a Misurata, a 200 km più ad est dalla capitale. Ma adesso, stando alle disposizioni di Al Sarraj, anche questo scalo sarà chiuso. Così come tutti gli altri del paese dove l’esecutivo stanziato a Tripoli ha una qualche forma di autorità sul territorio.
Chiusi quindi anche i porti, se non per motivi eccezionali e per i rifornimenti di beni di prima necessità. I pochi locali ancora aperti nella capitale, dovranno cessare ogni attività: anche in questa parte del Mediterraneo, dove si guarda da sempre molto da vicino ogni notizia arrivante dal nostro paese, si proverà quindi ad evitare assembramenti. Nell’est del paese, il governo stanziato ad Al Beyda dovrebbe approvare analoghe misure. Nei giorni scorsi il presidente del parlamento di Tobruck, Aguila Saleh, ha dichiarato che nulla verrà lasciato al caso per impedire l’epidemia di coronavirus in Libia.
La guerra non si ferma
Difficile però per adesso pensare ad una convergenza unitaria tra le parti in conflitto in nome della lotta al virus. Le misure prese sia nell’ovest che nell’est del paese, sono figlie in entrambi i casi di iniziative singole e non concordate. Al contrario, la guerra prosegue e proseguirà ancora nelle prossime settimane. Nei giorni scorsi sono stati segnalati nuovi raid nella zona di Tripoli, con scontri anche lungo i fronti a sud della capitale. A livello militare, la situazione rimane in fase di stallo, con le parti che mantengono le proprie rispettive posizioni.
Sotto il profilo politico, è da registrare il viaggio compiuto da Haftar nei giorni scorsi in Europa, incontrando Macron a Parigi ed Angela Merkel a Berlino. Una visita ritenuta un successo nel quartier generale del Libyan National Army: in Francia il generale avrebbe strappato una prima promessa di Macron di appoggiare una proposta volta ad una gestione autonoma nell’est della Libia degli introiti del petrolio, mentre dalla Merkel l’uomo forte della Cirenaica ha avuto la conferma del ruolo mediatore del governo tedesco nel conflitto. L’Italia, proprio per via dell’emergenza coronavirus, risulta non pervenuta.