Il 2018 si è aperto in Siria con le notizie delle operazioni dell’esercito nella provincia di Idlib, l’unica ancora totalmente in mano islamista; è sembrato l’inizio della fine per il piccolo emirato sorto durante gli anni di guerra civile, gestito dalle sigle confluite in Tahrir Al Sham, nome nuovo affibbiato al Fronte Al Nusra e quindi agli uomini di Al Qaeda in Siria. Nel giro di poche settimane, sia dalla parte meridionale di Aleppo e sia dal nord di Hama decine di soldati fedeli ad Assad sono riusciti a penetrare in un territorio dal quale le bandiere siriane mancavano da sei anni, piazzandosi a pochi chilometri da Saraqib, cittadina roccaforte islamista vicina al capoluogo di questa provincia. Poi improvvisamente, attenzione mediatica, uomini e mezzi dell’esercito siriano sono stati spostati verso il Ghouta; da febbraio, le principali operazioni di guerra riguardano proprio questa regione, mentre ad Idib tutto sembra essersi fossilizzato, con carri armati turchi che hanno iniziato ad entrare in questo territorio costruendo vere e proprie basi. Tutto questo, potrebbe non essere frutto di casuali sequenze belliche.

Un accordo segreto tra Turchia e Siria?

Difficile dimostrare che, anche in sede di conferenza di Astana, i governi di Damasco ed Ankara possano aver raggiunto accordi a tavolino: la mediazione della Russia, di certo, potrebbe aver fatto avvicinare ufficiosamente i due esecutivi molto più di quanto trapeli ufficialmente, ma è pur vero che nulla è emerso tra le carte e tra le varie voci diplomatiche degli incontri tenuti nella capitale kazaka. L’unico reale sospetto di un contatto trasformatosi poi in ufficioso accordo tra Turchia e Siria, riguarda il medesimo e reciproco interesse su un importante elemento: il mantenimento dello status quo nella provincia di Idlib; sia Erdogan che Assad hanno bisogno di utilizzare questo territorio per i propri determinati interessi. La Turchia, ad esempio, vedrebbe il collasso delle sigle islamiste nella provincia di Idlib come un autentico dramma: molti jihadisti varcherebbero la frontiera e tornerebbero nel paese anatolico, lo stesso che nel 2012 ha permesso a molti miliziani di raggiungere la Siria ed ingrossare le fila dei terroristi.





Dall’altro lato, Damasco ha necessario bisogno di un territorio dove ‘confinare’ gli islamisti che si arrendono nelle varie ‘sacche’ ribelli presenti ancora nel paese; in tal senso, lo stop all’offensiva ad Idlib ed il quasi contemporaneo avvio delle operazioni nel Ghouta potrebbero essere correlati: con l’esercito in avanzata, molti gruppi potrebbero chiedere la resa ed il trasporto nella provincia di Idlib in cambio della cessione dei territori occupati. In poche parole, la speranza dell’esercito siriano è che anche nella regione del Ghouta si possa attuare la cosiddetta ‘strategia degli autobus verdi’, con riferimento ai mezzi utilizzati per trasportare ad Idlib i miliziani e poter quindi liberare senza sparare ulteriori colpi intere porzioni di territorio; se Assad avesse proseguito con l’offensiva nella provincia controllata da Al Nusra, per il Ghouta sarebbe impossibile pensare di attuare questa iniziativa, dunque per adesso appare più che mai importante cristallizzare le posizioni nel nord del paese.

Del resto, liberare il Ghouta è al momento più importate che sfonda su Idlib: le sacche islamiste presenti ad est di Damasco infatti, minacciano da cinque anni la capitale ed è essenziale chiudere quanto prima la partita in queste zone. Dunque, turchi e siriani sostanzialmente vedono nella conservazione dell’attuale status quo ad Idlib un attuale punto in comune; per Ankara inoltre, questa regione può essere pedina di scambio con russi e siriani nell’affaire che riguarda la questione curda e la necessità avvertita da Erdogan di eliminare ogni presenza YPG dalle immediate vicinanze del confine. Sospettare un accordo tacito tra Turchia e Siria non è quindi azione di mera fantapolitica: i due governi hanno entrambi obiettivi primari ed immediati diversi da Idlib (i curdi pe Erdogan ed il Ghouta per Assad), così come medesima necessità di conservazione dell’attuale situazione nella regione.

L’offensiva nel Ghouta Est

Intanto a due passi da Damasco l’offensiva prosegue: l’esercito siriano, in particolare, sembra dilagare nelle zone rurali della regione, lì dove lo sfondamento delle prime linee jihadiste sta permettendo un avvicinamento verso le principali città della zona, Douma ed Harasta in primis. La battaglia è comunque cruenta: si combatte maggiormente ad Al Nashabuya, nell’appendice orientale della sacca jihadista, così come nelle località nord orientali del Ghouta; per guadagnare questi territori, l’esercito regolare ha perso circa cinquanta uomini, ma al contempo ha inflitto perdite pesanti tra i terroristi. Vengono utilizzati anche mezzi molto pesanti, in grado di poter oltrepassare le difese e le trincee organizzate dalle sigle jihadiste; l’obiettivo è stringere in una morsa l’agglomerato urbano del Ghouta quanto prima, conquistando i territori rurali ed eliminando quante più zone di rifornimento possibili. Al tempo stesso, si lavora pure per creare corridoi in grado di facilitare la fuga dei civili ma anche, come detto prima, per cercare di far arrendere e scappare verso Idlib alcune sigle collegate alle organizzazioni terroristiche.

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