Il tanto atteso vertice di Parigi si è concluso e, sebbene non abbia risolto definitivamente la questione ucraina ha posto le premesse affinché ciò possa avvenire e, comunque, un risultato storico è già stato ottenuto: Emmanuel Macron ha convinto i presidenti di Russia ed Ucraina ad accettare la Francia quale intermediatore. Le parti hanno concordato di re-incontrarsi entro quattro mesi per valutare il progresso fatto nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti, fra cui de-militarizzazione, implementazione onesta del cessate il fuoco e scambi ulteriori di prigionieri.
Macron, che da alcuni mesi ha assunto una postura riconciliatoria verso il Cremlino, riesumando il sogno gollista di una “Europa da Lisbona a Vladivostok“, si sta confermando come il vero leader del Vecchio Continente e i suoi sforzi potrebbero realmente condurre al disgelo ma, buone intenzioni a parte, il futuro delle relazioni Ue-Russia è ricco di incognite che non saranno delle tavole di discussione a rimuovere.
Ucraina: quale futuro?
Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin concordano su un punto, il popolo ucraino merita, desidera ha bisogno di tornare a vivere in condizioni di benessere e pace, ma non sul modo di realizzarlo.
Il presidente ucraino non è disposto a cedere alcuna porzione di territorio alla Russia, né in forma di presa d’atto che i confini sono stati modificati immutabilmente (Crimea) e né concedendo un regime speciale di autonomia nel Donbass che salvaguardi al tempo stesso l’integrità territoriale e i diritti della minoranza russofona.
Il presidente russo, d’altra parte, oltre a essere inamovibile sui due punti suscritti, chiede anche rassicurazioni sul percorso futuro dell’Ucraina, ossia che non finisca inglobata nell’Alleanza Atlantica per questioni di sicurezza nazionale.
L’ombra di Washington
Se anche Kiev e Mosca lavorassero per rendere effettiva la de-escalation e la pacificazione del Donbass, è doveroso tenere in considerazione l’entrata in gioco del fattore Stati Uniti che, probabilmente, è anche più influente di Germania e Francia. La vigilia del vertice di Parigi è stata macchiata da alcuni eventi apparentemente scollegati fra loro, ma che in realtà non lo sono, la cui importanza non dev’essere sottovalutata: la presa di posizione antitedesca del nuovo governo boliviano, le minacce di Donald Trump di guerra commerciale alla Francia con dazi al 100% su diversi prodotti, la decisione dell’Agenzia mondiale antidoping di squalificare la Russia per 4 anni da competizioni sportive di alto livello, fra cui giochi olimpici e mondiali di calcio.
Nel primo e nel secondo caso si tratta di due messaggi evidenti, da parte di Washington, che all’Ue non è consentito avere un’agenda estera completamente autonoma e divergente da quella statunitense. L’amministrazione Trump sta utilizzando nei confronti dell’asse franco-tedesco le stesse misure di contenimento adottate per la Cina, ossia l’arma economica, nell’aspettativa di convincere Merkel e Macron a non recuperare il rapporto con Mosca.
Anche il terzo caso rappresenta un monito: la guerra fredda con la Russia non è finita, anzi, è in pieno svolgimento. Le interferenze statunitensi nel processo di pace sono già iniziate e sono destinate a durare ed intensificarsi, perché frammentare il mondo russo fino al punto di non ritorno era un obiettivo di lunga data. Lo scopo finale, infatti, è portare l’orso russo a vivere un’implosione in stile sovietico causata da pressioni interne, come il separatismo e l’insurgenza terroristica, ed esterne, ossia l’accerchiamento militare.