Doppia grana in arrivo per il Regno Unito. Lo stop al referendum per l’indipendenza scozzese da parte della Corte Suprema apre a un nuovo braccio di ferro politico tra Londra e Edimburgo e al contempo in Irlanda del Nord continua l’impasse politica dopo la vittoria dei nazionalisti cattolici per la prima volta alle elezioni locali primaverili. Le Home Nations celtiche possono essere la spina nel fianco del Partito Conservatore e del governo di Rishi Sunak? Assolutamente sì, ma anche il Partito Laburista che prepara il ritorno al governo alle elezioni del 2024 non può dormire sonni tranquilli.
La questione scozzese si riaccende
Partiamo dalla questione riscaldatasi piĂą di recente, quella scozzese. Nella giornata del 23 novembre la Corte Suprema britannica ha stabilito che il governo scozzese non ha il potere di indire un nuovo referendum sull’indipendenza senza l’assenso di Londra, confermando dunque quanto dal 2019 al luglio scorso ha sempre ribadito l’ex premier Boris Johnson.
In assenza di accordo tra il governo locale di Edimburgo e quello centrale di Londra, in sostanza, impossibile procedere per lo Scottish National Party e la presidente dell’amministrazione scozzese Nicola Sturgeon, che nell’ultimo anno aveva aumentato l’enfasi retorica sulla questione del referendum-bis dopo quello del 2014.
Spiegando il verdetto, il presidente della Corte Suprema Robert Reed ha indicato che i giudici hanno concluso all’unanimitĂ che un tale voto avrebbe conseguenze per l’unione del Regno Unito e quindi richiede un assenso del potere centrale di Londra. Si riduce dunque l’arbitrarietĂ della devolution scozzese e si riafferma la forza del potere centrale del governo di Sua MaestĂ , che può dunque plasmare a suo favore le regole politiche e dare le carte a Edimburgo.
Londra si è sempre appellata a quanto detto nel settembre 2014 dall’allora leader dell’Snp Alex Salmond, il quale ha detto che allora che il referendum scozzese previsto per il 18 settembre di quell’anno era “un’opportunitĂ unica in una generazione”. Il 14 settembre 2014, parlando con Andrew Marr della Bbc, Salmond disse che in caso di fallimento, come poi avvenuto, sarebbe occorso un salto “generazionale” prima di un altro referendum sull’indipendenza. I nazionalisti scozzesi oppongono a ciò il fatto che la Scozia ha votato a favore del Remain nel referendum sulla Brexit e che buona parte della campagna dei favorevoli all’unione col Regno Unito era legata proprio al fatto che, fuori dai domini di Sua MaestĂ , Edimburgo avrebbe perso anche i benefici dell’appartenenza all’Ue.
Il nodo si preannuncia spinoso e farà sicuramente ribollire le relazioni tra il governo Tory e quello dello Scottish National Party, mettendo però in imbarazzo anche una Sinistra laburista che difficilmente potrebbe disconoscere una presa di posizione dura di Londra su nuove richieste scozzesi, dovendo ricostruire una cultura di governo in vista di elezioni a cui mancano poco più di due anni.
Il “giallo” nordirlandese
Nel frattempo, nel versante britannico dell’isola celtica La politica nordirlandese è di nuovo in stallo. Il governo britannico ha detto che convocherĂ nuove elezioni dopo la scadenza legale per formare un esecutivo caduta il 31 ottobre scorso. Ma Londra ha ritardato la fissazione di una data per un nuovo voto e i partiti politici avvertono che nuove elezioni potrebbero non risolvere l’impasse, specie di fronte alle ritrosie del Democratic Unionist Party (Dup) di essere partner di minoranza dei cattolici nazionalisti del Sinn Fein in assenza di garanzie sulla fine del protocollo nordirlandese della Brexit, che di fatto crea una barriera interna al Regno Unito nel Mar d’Irlanda sul fronte commerciale e doganale.
Il Dup, nota il Financial Times, “afferma che il protocollo ha influenzato le forniture mediche, aumentato i costi di trasporto del 30% e danneggiato gli investimenti infrastrutturali a causa di una tariffa del 25% sull’acciaio britannico venduto nella regione. Insiste sul fatto che l’accordo deve scomparire”. Liz Truss da Ministro degli Esteri di Boris Johnson ha preparato una legge per strappare definitivamente in forma unilaterale il protocollo e aperto il fronte con Bruxelles, che è al massimo aperta a una sua applicazione flessibile, ma nel breve periodo da premier ha smussato le tensioni. Oggi “Sunak rimane impegnato in un disegno di legge all’esame della Camera dei Lord che darebbe ai ministri ampi poteri per eliminare unilateralmente parti del protocollo”. Nel mezzo gli Accordi del Venerdì Santo rischiano di non reggere alla prova della Brexit.
Grande politica internazionale e questioni locali schiacciano l’Irlanda del Nord; nel frattempo, il Good Friday prevede la possibilitĂ che al verificarsi di determinate condizioni politiche dopo un primo censimento attestante la maggioranza cattolica nelle sei contee dell’Ulster a Belfast si potrebbe indire un referendum per l’unificazione all’Irlanda. Di recente il ministro ombra laburista per l’Irlanda del Nord, Peter Kyle, ha detto che tale referendum si potrebbe tenere “a determinate condizioni” se la Sinistra tornasse al governo, mentre i Tory fanno muro contro muro. Quel che è certo è che da qui al 2024 la grana irlandese e quella scozzese si sommeranno nel creare grattacapi di gestione all’Impero “interno” di Sua MaestĂ e Carlo III è asceso al trono in una delle fasi di minor coesione del Regno Unito nella sua storia. Alle politiche del governo di Londra la palla per dare alle periferie spazio, prospettive economiche e di sviluppo e peso decisionale per contrapporre scelte costruttive alle spinte centrifughe.