A pochi giorni dal voto non si placano le proteste in Algeria. Alla vigilia delle elezioni più contestate della storia algerina, il popolo nelle strade chiede di non votare e riforme costituzionali immediate ed efficaci.

Nove mesi di proteste

Ai cittadini algerini, soprattutto i più giovani, non sono state sufficienti le dimissioni dell’anziano presidente Bouteflika, simbolo di un ventennio di corruzione dilagante e di disoccupazione alle stelle. Con la disfatta politica di Bouteflika, l’esercito è diventato il principale protagonista della vita civile e politica algerina: ai militari il compito arduo di traghettare il Paese verso una nuova era. Ma i manifestanti non ci stanno: la priorità non è un nuovo Presidente bensì istituzioni transitorie ed una nuova Costituente.Le elezioni erano già state annullate lo scorso luglio per mancanza di candidati fino a quando, lo scorso novembre, la montagna ha finalmente partorito il topolino: quasi nove mesi di proteste non sono riuscite a produrre una rosa di candidati outsider, con proposte innovative e con un pedigree privo di collusioni con il vecchio regime. È questa la ragione per cui questi cinque candidati, partoriti senza lode e senza infamia, non rappresenteranno la svolta tanto desiderata dalle piazze algerine. La storia di questi giorni sembra seguire un copione a cui si è tristemente abituati. Il regime algerino ha affrontato forti pressioni dalla fine degli anni ’80 e a quel tempo, di fronte alla sua potenziale perdita di controllo sulle istituzioni statali venne scatenata una vasta opera di repressione che generò circa dieci anni di guerra civile. Ripristinata la pace sociale, si è cercato di convergere verso una democrazia elettorale di facciata, con elezioni farsa che hanno ripetutamente portato alla rielezione del Presidente con massicce maggioranze.

I candidati: “cinque soliti noti”

Abdelmadjid Tebboune, già primo ministro nel 2017, è stato ministro dell’Interno per ben due volte. La sua nomina nel 2017 colse tutti di sorpresa (Abdelmalek Sellal, infatti, sembrava essere il favorito) per poi venire destituito dopo 3 mesi dallo stesso Bouteflika con il quale, tra l’altro, ha legame di parentela. Profilo da tecnocrate, è un uomo del sistema. Nel 2007 si abbatté su di lui una bufera mediatica: era tra i testimoni del caso Khalifa, uno dei più grandi scandali finanziari del Paese. Tebboune si rifiuta di accogliere le richieste dei manifestanti che, dal canto suo, potranno essere soddisfatte solo ad elezioni compiute, ma non prima. Ali Benflis, invece, è quello che in Italia chiameremmo picconatore. Ma non solo, Benflis è l’eterno secondo. Primo ministro per tre anni all’alba del nuovo Millennio, candidatosi alle presidenziali nel 2004 ricevette appena il 6,4% dei voti, arrivando secondo. Ci riprovò nel 2014 da indipendente, restando sempre il gregario dell’eterno Bouteflika. Si era chiamato fuori dalle presidenziali, tuttavia ha poi scelto di candidarsi azzardando come promesse elettorali una nuova Costituzione e lo scioglimento del Parlamento. Azzedine Mihoub, ex giornalista e scrittore è colui il quale vorrebbe turbare il duello annunciato tra i primi due. È infatti il ministro della cultura uscente ed è esponente di quello stesso entourage che tenta di riciclarsi in questa campagna elettorale kafkiana. Abdelkader Bengrina, ex ministro del Turismo, islamista moderato, è il candidato che incontra il favore delle donne e che rivendica il sostegno al movimento di protesta Hirak dall’inizio di febbraio di quest’anno. Sembra, infatti, che il celibato femminile sia la principale preoccupazione del candidato alla presidenza: secondo Bengrina, il fenomeno del celibato tra le donne è aumentato significativamente negli ultimi anni. Cifre che richiedono di trovare soluzioni agli squilibri che incidono sui diritti delle donne, prendendosi cura delle loro preoccupazioni, a tutti i livelli, sociali, professionali e persino psicologiche, per consentire loro di svolgere ruoli importanti e vita nella società algerina. Vi è poi Abdelaziz Belaid, terzo ad aver ricevuto il maggior numero di firme a sostegno della sua candidatura. Leader di Fronte del Futuro, ha scelto di non puntare tutto sui cambiamenti costituzionali. Lotta alla corruzione e salvaguardia delle casse dello Stato sono i principali punti del suo programma elettorale. Una squadra di candidati legati, chi più chi meno, all’era Bouteflika, figli di quella stessa compagine che ha portato il Paese sull’orlo del disastro; non solo, anche l’età media dei candidati pare significativa: si sfiorano i 65 anni, in un Paese che, dopo aver rischiato un invecchiamento progressivo della sua popolazione, ha vissuto lo scorso anno un boom demografico. Il 47% della popolazione algerina ha meno di 24 anni e ciò implica una forte pressione sul mercato del lavoro, che ogni anno deve assorbire 280.000 persone.

Che ne sarà di questa Rivoluzione?

Le strade di Algeri e di molte città algerine sono in mano alle piazze da mesi e, in questi giorni più che mai, le proteste stanno assumendo i colori del paradosso: nessuno difende il voto, come ci si aspetterebbe in un momento di crisi. Anzi, il popolo algerino, giovani in primis, chiede di non votare i big 5 che stanno tentando di riciclarsi in una nuova legislatura. “No vote for gangsters”, “Forget the vote”, “I generali nella spazzatura e l’Algeria sarà indipendente” sono gli slogan che stanno accompagnando Algeri verso la data del 12 dicembre. Fumo negli occhi dei manifestanti le promesse elettorali altisonanti e ben decorate che si scioglieranno come neve al sole quando un nuovo-vecchio leader salirà al potere con la stessa Costituzione di sempre, senza modificare il tipo e la natura dello stato autoritario che ha fatto scempio della Nazione negli ultimi 20 anni. Tuttavia, mentre è probabile che il movimento di protesta riesca a boicottare massivamente la credibilità del voto, sta per affrontare una crisi che è alle porte. Per quanto possa sopravvivere al regime, non è stato ancora in grado di respingerlo in modo decisivo e ottenere un cambiamento reale e duraturo. La sua strategia è stata incentrata su regolari manifestazioni di massa che hanno permesso al movimento di rimanere in vita per circa 9 mesi. Ma ora il governo sta cercando di decapitarlo bloccandone i leader e di portare centinaia di migliaia di lavoratori dalla propria parte. Per fare ciò, sta usando la federazione sindacale pro-regime: l’Unione Generale dei Lavoratori Algerini (Ugta). La scorsa settimana, ha richiesto manifestazioni a favore delle elezioni e ha portato migliaia di persone in diverse città: queste persone, per convinzione o perché corrotte, andranno a votare, e seppur una minima percentuale su un’intera Nazione in fermento, sceglieranno per tutti gli altri: sceglieranno la sicurezza, la disciplina. A meno che la storia non voglia sorprenderci: cosa accadrebbe se, per assurdo, nessuno andasse davvero a votare e se Hirak riuscisse a impedire materialmente il voto? Questa sarebbe l’unica speranza di veder trasformato finalmente un inverno arabo nelle primavere che in molti aspettano. Sperando non seminino morte.

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